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Come la Pasqua che ciclicamente festeggia la resurrezione, I Godspeed You! Black Emperor (abbr. GY!BE – ndr) applicando il loro schema “classico” tirano fuori la colonna sonora del post conflitto interiore, morale o materiale, ma mai banale, davanti al quale ci ha messo questa pandemia.
La formazione canadese capitanata da Efrim Menuck, da sempre perno di quel post rock dai contenuti importanti questa volta si concentra sulla caduta dell’istituzione Stato, rinnegando totalmente il sistema nel quale viviamo. Sia che aspettiamo la fine arresi e sconfitti o l’inizio di un “nuovo mondo”, la visione di fronte a cui ci mettono davanti i GY!BE e quella di un suono denso, strutturato, composto da strumenti, frammenti sonori, rumori e dialoghi, come una confusa antologia di una catastrofe.
Lo scheletro di questa nuova opera è caratterizzato da due suite “alla vecchia maniera”, ovvero con minutaggi importanti e intermezzi definiti ( “A Military Alphabet (Five Eyes All Blind) (4521.0kHz 6730.0kHz 4109.09kHz)/ Job’s Lament/ First Of The Last Glaciers/ Where We Break How We Shine (ROCKETS FOR MARY)” che i più affezionati già conosceranno col nome di Glacier nelle esperienze live e “‘GOVERNMENT CAME’ (9980.0kHz 3617.1kHz 4521.0 kHz)/ Cliffs Gaze/ cliffs’ gaze at empty waters’ rise/ ASHES TO SEA or NEARER TO THEE”, allo stesso modo della precedente conosciuta come Cliffs nei live, che già dalla lettura dei titoli sono uno statement di distruzione e ricostruzione, salite e discese, tuffi nel vuoto e prigioni claustrofobiche.
L’approccio alle due creazioni è dei più classici ma si intravedono un migliore e più ampio utilizzo di campioni sonori (presi delle radio a onde corte) e forse una maggior “speranza” intendibile soprattutto nella seconda suite. Il rischio di risultare ridondanti (sono anche più di 20 anni che siamo davanti allo stesso schema) era altissimo, cosi come le aspettative, che però risultano ampiamente ben ripagate.
La novità forse sta proprio nelle due “corte leve” che finiscono di delineare questa uscita made in Constellation Records, “Fire At Static Valley” che assomiglia alla carriera della band coagulata e racchiusa in circa 7 minuti, riempiendo qualsiasi spazio possibile nella mente dell’ascoltatore e “OUR SIDE HAS TO WIN (For D.H.)” che con i suoi tratti Drone ci riporta al 1999 e “Slow Riot for a New Zero Kanada” ma forse, adesso le rivolte non saranno più lente.
Dall’ascolto di questo album si esce satolli, di propri pensieri o congetture sul pensiero di chi ha creato tutto ciò e perciò come utile strumento per decifrare è importante utilizzare la parte cinematografica di quest’opera, sviluppata da Karl Lemieux, brillante videomaker che già aveva collaborato con la band, in modo da fissare le immagini e i suoni come pattern nel nostro cervello, in grado di riportarci a questo momento storico e farci rivivere queste sensazioni di incertezza in qualsiasi frangente noi lo riterremo opportuno.
83/100
(Riccardo Ricci)