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Oggi 14 aprile 2021 il terzo album dei Cure, “Faith”, compie 40 anni. Sottovalutato all’epoca, “Faith” ha ricevuto nel tempo sempre una maggiore considerazione per via che i suoi suoni rarefatti hanno influenzato probabilmente alcuni movimenti successivi (vedi post rock e, per certi versi, anche lo shoegaze), quando invece al tempo si sottolineava di più la forza dark dell’album precedente “Seventeen Seconds” (per la presenza della storica “A Forest”) e del successivo “Pornography”. Ma, come il vino buono, è il tempo è stato galantuomo con “Faith”. (Paolo Bardelli)
Dopo l’effervescente esordio di “Three Imaginary Boys”, già con “Seventeen Seconds” l’atmosfera si appesantisce e i Cure danno sfogo a una vena sempre più malinconica e oscura che li accosta alle sonorità già sperimentate dai Joy Divison in “Closer” (1980). La band di Rober Smith tuttavia gioca con carte diverse; il loro è un approccio più melodico rispetto al gruppo di Manchester. “Faith” ha uno sviluppo che procede per tentativi, la band faticosamente si trasferisce da uno studio registrazione a un altro, alla ricerca del suono perfetto.
Il titolo “Faith” è programmatico: il tema che attraversa tutti i brani è il dubbio intorno al concetto di fede, non solo sul piano religioso ma anche più in generale su quello esistenziale, della finitezza dell’uomo di fronte all’eternità. I brani più movimentati sono “Primary” e “Doubt”, mentre nel resto del disco si scende in ambienti notturni e in suggestioni crepuscolari. In “All cats all grey” è la sfiducia di fronte al futuro e alla morte che rende inutili e indistinti tutti i nostri sforzi (i gatti dentro una grotta assumono tutti lo stesso colore) a declinarsi in un ritmo minimale che spazia dentro sfondi eterei. Una danza macabra scandisce la melodia di “Funeral Party” che come atmosfere e affinità tematiche rimanda a “Eternal” del gruppo di Ian Curtis.
Se “Disintegration”, “Pornography” o altri album successivi hanno consacrato la carriera della band, “Faith” resta una pietra miliare dell’intero repertorio tra il post punk e il dark e una delle più intense rappresentazioni in musica dello sconcerto dell’umanità di fronte al destino.
(Eulalia Cambia)