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“I May Destroy You” uscita circa un anno fa, è una serie della HBO creata da Michaela Coel. Già protagonista di Black Earth Rising come Kate Ashby, Coel si presenta in questa serie nel ruolo di Arabella Essiedu, giovane donna londinese di origini ghanesi e millennial per sempre emergente nel mondo dei veri famosi tra post su Twitter, campagne su Instagram per ditte di vegan food, un primo libro andato molto bene scritto quasi per caso e un secondo eternamente in bozza.
“I May Destroy You” è spesso descritta nelle recensioni come la serie su una donna che cerca di elaborare il trauma dello stupro: quel che non sapevo prima di vederla è che, come al solito, le narrazioni innovative e non “biancocentriche” come quella trattata in “I May Destroy You” difficilmente vengono comprese e a maggior ragione promosse in quanto tali dai media, che quindi puntano all’unico argomento da loro almeno parzialmente intelligibile: la donna vittima di stupro e interpretata, ormai, unicamente come tale dal nostro sguardo.
In realtà “I May Destroy” è molto più di questo e il suo messaggio essenziale è già sottinteso a partire dalla scelta e dall’ampiezza dei temi e delle storylines: Arabella e il caleidoscopio di Black Brits di Londra che la circondano non si fanno sconfiggere da ciò che sono costretti a subire. Stupri nella serie ce ne sono tre, non uno: ma coloro che li subiscono rifiutano di entrare nella parte della vittima schiacciata dall’accaduto e derubata, tra le altre cose, di ogni altra possibile dimensione narrativa. “My birth is your birth, my death is your death” ripetono Arabella, T e Kwame più volte nel corso della serie: la fratellanza multietnica tra i giovani neri di Londra è forse invece il vero fulcro della serie, un cuore collettivo in grado di illuminare anche paesaggi bui come quelli in cui esistono droghe dello stupro, uomini che si consigliano su Reddit per il modo migliore in cui farla franca con lo stealthing e ditte di vegan-food che pagano una percentuale più alta ai talent scout quando portano loro influencer di colore.
“I May Destroy You” non veicola la sua carica sovversiva solo tramite i suoi giovani attori e una trama da scolpire a memoria futura, ma anche attraverso una delle colonne sonore migliori degli ultimi anni in tutto il panorama audiovisivo. Michaela Coel ha provveduto a inserire alcune canzoni direttamente nello script, mentre la supervisione generale è affidata all’impeccabile Ciara Elwis: da qui la sensazione che la storia e le canzoni che la accompagnano siano un tutt’uno. Non ci potrebbe essere “I May Destroy You” senza la sua colonna sonora: è Tierra Whack a spiegare la personalità di Arabella ben più di quanto la storia non abbia già iniziato a fare fin dall’incipit del primo episodio. E’ dunque sulle note di “Only Child” che Arabella si allontana in taxi dal ragazzo di Roma di cui è innamorata e che sembra respingere ogni tentativo di approfondire il suo rapporto con lei. E “Only Child” è nei titoli di coda dello stesso episodio quando Arabella ha appena iniziato a realizzare la terribile verità di ciò che le è appena accaduto. A seguire Little Simz, Sampa The Great, “Truffle Butter” di Nicky Minaj cantata dalla protagonista al karaoke: ogni personaggio ha una colonna sonora all’interno di quella complessiva e così Arabella si muove nell’hip-hop e nell’underground europeo, ma anche nel gospel; mentre molti degli artisti che accompagnano Kwame sono dichiaratamente queer e in cerca, come lui, di una rappresentazione al di fuori degli stereotipi del mainstream.
Mi sono stupita sentendo “Cara Italia” di Ghali quando la protagonista è a Roma con la migliore amica T: stupita di quanto, come sempre, l’occhio di una minoranza sia più acuto nell’interpretare quello di ogni altra minoranza che è accanto a essa e comunque a rappresentare il mondo più oggettivamente di quanto possa riuscire a fare il male gaze panottico della nostra era sempre bianco, cis, etero. E cieco nei confronti di chiunque lo respinga.
Greentea Peng, Subculture, Jean Deaux; ma anche Arlo Parks, Little Simz, Oscar Jerome. E una canzone, “Pynk”, di Janelle Monáe in feature con Grimes che acquista ulteriore significato mentre Arabella riceve l’affetto delle utenti sui suoi profili social dopo aver denunciato pubblicamente il ragazzo che si è tolto il condom a sua insaputa mentre stavano facendo sesso. Nella confusione di una Londra confusionaria – a volte freddamente anonima, a volte unico possibile posto-giusto-nel-momento-giusto – Arabella, T e Kwame cercano di sopravvivere alle droghe, alle discriminazioni, all’amore e alla vita stessa, lottando per un futuro senza inutili edulcorazioni conformiste accompagnati dagli spiriti guida degli artisti e delle artiste black che molti di noi ascoltano ogni giorno ma di cui spesso ignoriamo la storia. “I May Destroy You” racconta anche la loro.
(Claudia Calabresi)