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Puntata speciale di [Coverworld] perché non dedicata a tutti i rifacimenti possibili e immaginabili di una canzone, bensì al focus di un album-cover: i Quivers, una band australiana di indie pop si è approcciata in maniera totalitaria a “Out Of Time” dei R.E.M. (che tra l’altro un paio di mesi fa ha festeggiato il trentennale) rifacendolo canzone per canzone. Un’opera non facile, sicuramente coraggiosa, uscita all’inizio del 2021. Com’è andata? E’ quello che vogliamo scoprire.
“Radio Song”
Nessun rapper, nessuna parte funk: la “Radio Song” dei Quivers dilata solo l’intro/ritornello cancellando le altre parti: scelta discutibile, che in ogni caso che rende la canzone monca.
“Losing My Religion”
Non era facile, ma qui ci siamo: il mandolino è trasformato in un arpeggio classicamente indie pop mentre la strofa si svuota modello Pixies, ma anche nel resto i Quivers evitano le reminescenze R.E.M., offrendo pure un finale dark blues. Una versione da 8.
“Low”
Qui i Quivers si mantengono più fedeli all’originale, tranne che per l’organo non pervenuto. Ma mentre la versione originale rimane sempre opprimente, verso la fine la band australiana la lascia partire in maniera più sognante. Ci sta.
“Near Wild Heaven”
Già il genere della versione dei R.E.M. pareva congeniale ai Quivers, guardando al jangle pop, per cui lo svolgimento dei Quivers mantiene quella leggerezza. Un appunto: così come nell’ascolto dell’album dei R.E.M. in questo momento cambia la voce (la canta Mike Mills), anche qui si passa dalla voce maschile delle prime tre canzoni a una voce femminile e la sensazione è di aver rispettato un’alternanza che è nel dna del disco. Il cantato qui è piacevolmente indolente, bene così ma non era difficile.
“Endgame”
E’ vero che la “Endgame” original è un po’ un divertissement, e i Quivers hanno pensato di mantenere questo obiettivo, con tanto di chitarra col tremolo e “la la la” distante. Cover di passaggio.
“Shiny Happy People”
Come cambiare faccia a una delle canzoni più sbarazzine dei R.E.M.? Facendola sembra “Low” (vedi sopra). Anche la struttura cambia: via all’intro in 3/4 ma soprattutto largo a una bella parte di assolo/incrocio di chitarre da metà alla fine, come se fosse un finale live, non dico alla “Desire Lines” dei Deerhunter ma qualcosa del genere (molto meno coinvolgente, s’intende).
“Belong”
Una delle canzone più sottovalutate dei R.E.M., graziata da un testo bellissimo sostanzialmente parlato che Stipe incise in un garage per farlo sembrare arrivasse da un altro mondo. I Quivers declamano invece senza effetti, ma l’interpretazione è toccante.
“Half a World Away”
Quella che Stipe ha definito più volte “la canzone più triste” dei R.E.M. viene mantenuta nel suo abito acustico ma le viene affibbiata una volontà sghemba che rende meno seriosa l’intensità intrinseca della song. Cover né bella né brutta.
“Texarkana”
Amo troppo l’intenzione della versione dei R.E.M., perché qui siamo su una strada desertica americana ma senza il basso metallico e coinvolgente di Mills. La sufficienza c’è, perché era arduo approcciarsi a questa meraviglia.
“Country Feedback”
Un pianoforte dolente è il bellissimo sfondo che i Quivers scelgono per “Country Feedback”. Cover poetica.
“Me in Honey”
Troppo monocorde la batteria, una cover davvero poco curata. Peccato perché la chiusura è sempre importante.
In definitiva il progetto dei Quivers deve essere promosso, se non altro perché fa riportare i riflettori su un album bellissimo dei R.E.M., e lo fa tutto sommato bene. Il nostro Nicola Guerra peraltro vi consiglierebbe di ascoltare, della band australiana, il loro “We’ll Go Riding on the Hearses” (2018): un “disco delicato e sofferto, di una bellezza disarmante e pieno però di melodie Pop, scritto in 2 giorni dopo la morte del fratello del cantante”.
Bene, abbiamo detto tutto: la prossima volta torniamo alla classica forma di [Coverworld] basata su una canzone.
(Paolo Bardelli)