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L’emergenza Covid-19 ha lasciato immobile il nostro Paese per diverse settimane: ha causato morti, rotture, crisi emotive ed economiche abituando noi cittadini a una nuova “normalità”. Gli sbarramenti tra i Comuni e le porte chiuse non hanno tuttavia arrestato la lotta alla mafie e all’illegalità che deve proseguire senza tregua e che ogni giorno deve essere parte integrante della nostra scelta civile.
Il mese scorso è stato il 41° anniversario della morte di Giuseppe “Peppino” Impastato, il giornalista di Cinisi che denunciò i crimini della mafia.
La storia di Peppino è straordinaria non solo perché ai tempi fu uno dei pochi a denunciare le realtà mafiose che molti ancora fingevano di non vedere, ma perché lui stesso proveniva da una famiglia affiliata al crimine organizzato ed ebbe il coraggio di fare una scelta diversa.
È il 9 maggio del 1978 e mentre l’Italia è sotto choc per il ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro, a Cinisi in Sicilia, Peppino Impastato muore dilaniato dall’esplosione di una carica di tritolo posta sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia. Aveva 30 anni.
Sin da giovanissimo, Peppino si batte contro la mafia, denunciandone i traffici illeciti e le collusioni con la politica.
Appena diciottenne, fonda il giornale L’idea socialista maturando progressivamente il proposito di unire il militantismo politico alla lotta antimafia, messaggio veicolato attraverso il mezzo di informazione allora più potente: la radio.
Nel 1976 fonda l’emittente privata e autofinanziata Radio Aut a cui per sempre sarà legato il suo nome. In poco tempo la trasmissione più seguita dell’emittente diventa Onda Pazza durante la quale Impastato usa la satira per attaccare e distruggere l’immagine dei mafiosi.
Su tutti, il suo bersaglio preferito è proprio Tano Badalamenti, ribattezzato “Zu Tano”, o ancora “Tano seduto”, che vive a pochi passi dalla casa di Peppino: i famosi Cento passi raccontati nel celebre film di Marco Tullio Giordana.
L’11 aprile del 2002, dopo più di vent’anni, si conclude il lungo percorso giudiziario sulla vicenda Impastato, con la condanna all’ergastolo di Badalamenti accusato di essere il mandante dell’omicidio.
Nel circolo “Musica e cultura” fondato insieme ai suoi amici, Peppino coltiva l’interesse per la letteratura componendo numerose poesie che parlano di semplicità, di inquietudini, di strade bagnate dalla pioggia e di nubi di fiato rappreso.
Liriche che esprimono un disagio interiore frutto di una sensibilità fuori dal comune e in cui si avverte tutta la “fragilità” del Peppino “uomo” con le sue paure, speranze e sogni.
Per ricordare e onorare la memoria di un uomo che si è opposto tenacemente alla mafia, rileggiamo le sue poesie più belle.
Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
né il canto del gallo
né il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,
infinita.
Nubi di fiato rappreso
s’addensano sugli occhi
in uno strano scorrere
di ombre e di ricordi:
una festa,
un frusciare di gonne,
uno sguardo,
due occhi di rugiada,
un sorriso,
un nome di donna:
Amore
Non
Ne
Avremo.
Passeggio per i campi
con il cuore sospeso
nel sole.
Il pensiero,
avvolto a spirale,
ricerca il cuore
della nebbia.
Sulla strada bagnata di pioggia
si riflette con grigio bagliore
la luce di una lampada stanca:
e tutt’intorno è silenzio.
Il cuore batte con l’orologio
il cervello pulsa nella strada:
amore e odio
pianto e riso.
Un’automobile confonde tutto:
vuoto assoluto.
Era di passaggio.
articolo di Paola Belluscio
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