Share This Article
Ci ha sorpreso, e molto, “Endless Arcade”, perché – nonostante l’abbandono di Gerard Love – i Teenage Fanclub hanno pubblicato un album che è esemplificativo della loro autentica e unica cifra stilistica. Per marcare questo loro speciale ritorno abbiamo stilato una top 7 delle loro canzoni, con due graditissimi ospiti, ovvero il giornalista Hamilton Santià, già ex kalporziano e attualmente in sella agli Smile, e Enzo Baruffaldi di Polaroid – Un Blog alla Radio, che sono noti per essere due fans inossidabili dei nostri.
7. “I Have Nothing More To Say” (da “Here”, 2016)
Già dal titolo di questo formidabile brano si intuisce che qualcosa sta per cambiare per sempre. In effetti dei quattro scritti da Gerard Love per “Here” – gli altri sono “Thin Air”, la beatlesiana “It’s A Sign” e “The First Sight”, una gemma power-pop con rimandi a Crosby Stills and Nash – è il più rarefatto, eppure cristallino come l’immenso mare scelto in questo videoclip. Caratterizzata da un passo motorik e sonorità a tinte Pastels (dell’era post “Illumination”), “I Have Nothing More To Say” ci mostra tra le righe un autore già nostalgico e permeato di dubbi sul suo futuro (“My head is overloaded/Rust in my bones/I have doubts in my veins”), stanco della vita in tournèe ma non per questo dei compagni di avventura (“I need only reassurance/In the morning I’ll be brighter”, anche se ci si riferisce teneramente al conforto di una lei): la rottura avverrà nel novembre 2018 in un clima di amicizia e gratitudine. La canzone, posta a metà disco, è per di più impreziosita nel finale da un solo psichedelico di Raymond McGinley che farà balzare dalla sedia i fan degli Yo La Tengo.
(Matteo Maioli)
6. “It’s All In My Mind” (da “Man-Made”, 2005)
Negli anni Zero tutti volevano suonare come i Teenage Fanclub, anche se magari non ci riuscivano. E loro imperterriti pure nel 2005 davano alle stampe un gran album (il loro ottavo) con quella canzone semplice ma perfetta che è “It’s All In My Mind”, una delicata fotografia di un tempo che corre veloce (“My life is going fast“) che sembra intrisa di una lieve e sollevata malinconia ma che più propriamente io interpreto come una dichiarazione di consapevole comunanza di spirito con tutte le cose del mondo (“I was half a human”… “I was a stone”). Una canzone che poi è come sedersi alla tavola dei Byrds e brindare con loro, al di là degli anni Novanta, anni Dieci e chi più ne ha più ne metta: il rock ha i suoi percorsi insondabili che legano, in maniera più o meno sottile, tutto, e forse alle volte è più giusto goderselo così, come viene.
(Paolo Bardelli)
5. “Star Sign” (da “Bandwagonesque”, 1991)
Ogni gruppo pop ambisce a scrivere ‘the perfect pop song’ e i Teenage Fanclub ne hanno scritte a decine. Scegliere un singolo pezzo, quindi, è impresa ardua soprattutto per i fan più accaniti. Però ritornando a quella sequenza immortale di pezzi che è “Bandwagonesque” non posso che fermarmi su “Star Sign”. Il giro di accordi su cui si basa la melodia scorre nella maniera più naturale possibile, il passaggio di note della strofa ha creato un mondo nella mia testa influenzando molto anche il mio modo di suonare la chitarra. E poi il cantato ‘sotto’ di Gerard Love (che ha scritto le mie canzoni preferite e infatti salutarlo al suo ultimo concerto coi Fannies alla Electric Ballroom di Londra fu gesto doveroso e necessario) oltre al perfetto bilanciamento tra il noise che arrivava dagli Stati Uniti e il pop cristallino spudoratamente inglese, manifesto ideale di quel suono liminale tra Manchester e la Scozia che la Creation ha fatto diventare pietra di paragone per almeno un paio di generazioni di persone sinceramente convinte che la musica indie potesse cambiare loro la vita. Il tutto il poco più di tre minuti. Trent’anni fa. Pazzesco.
(Hamilton Santià)
4. “Your Love Is The Place Where I Come From” (da “Songs From Northern Britain”, 1997)
“Songs From Northern Britain” del 1997 è l’album con il quale i Teenage Fanclub prendono le distanze dai lustrini e il chiasso del brit-pop, suonando il rock’n’roll appartenuto tempo prima a Neil Young e Badfinger; la qualità viene comunque garantita dalle ballads, da “Ain’t That Enough” a “Your Love Is A Place Where I Come From”. Quest’ultima ha poi beneficiato di un endorsement speciale: Nick Hornby l’ha utilizzata nell’introduzione di “31 Songs”, poichè all’evento di lancio di “Speaking With The Angel” all’Hammersmith Palais il gruppo scozzese durante il soundcheck stava eseguendo appunto “Your Love Is The Place Where I Come From”. Nel 2010 Nick Hornby realizzerà a quattro mani con Ben Folds l’ottimo “Lonely Avenue”: l’influenza dei Teenage Fanclub è evidente anche su questo lavoro. “Grandiosa. Appena la sentii, capii che ci aspettava una serata speciale”, e ascoltando la canzone di Raymond McGinley non possiamo che essere d’accordo: ti mette perfettamente a tuo agio, tra echi roots alla Jayhawks e un chorus tanto semplice quanto romantico. In una parola, indimenticabile: “I can’t slip away when I see your face/I lose my confusion/Your love is the place where I come from”.
(Matteo Maioli)
3. “Everything Flows” (da “”A Catholic Education”, 1990)
“Everything Flows” (1990) è l’inizio di tutto: primo singolo dei Teenage Fanclub, che negli anni è diventato un classico della band scozzese fisso in scaletta, suona come un brano dei Dinosaur Jr. e non è poi così difficile immaginarselo interpretato da J Mascis, anche perché il musicista americano l’ha suonato per davvero il pezzo dei Teenage Fanclub, in una peel session del 2000, facendosi accompagnare da Mike Watt e George Berz. Il chitarrismo noise, comunque, è un po’ il cuore di tutto “A Catholic Education”, album di cui “Everything Flows” fa parte: un mondo a parte rispetto alla musica britannica dell’epoca (si parla del 1990). Molto americano, a metà strada tra i già citati Dinosaur Jr., Sonic Youth e Neil Young.
(Monica Mazzoli)
2. “The Concept” (da “Bandawagonesque”, 1991)
Ho ricevuto il mio battesimo scozzese verso la fine del 1991, appoggiato al banco di un negozio di dischi che non esiste più, nella Bassa emiliana. Leo mise nello stereo un CD dalla copertina francamente imbarazzante e noi intorno continuammo a sfogliare riviste e a chiacchierare, come facevamo sempre al Play Loud il sabato pomeriggio. Per qualche secondo sentimmo sfrigolare un feedback di chitarra, forse ci aspettavamo qualche specie di detonazione, e invece si insinuò una voce svogliata e sfacciata che per sempre scolpì queste parole nel nostro cuore: “She wears denim wherever she goes / Says she’s gonna get some records by the Status Quo”. Una rima spiazzante: a chi poteva saltare in mente di citare gli Status Quo nel 1991? Ma intanto la canzone era partita di buon passo, e sopra quelle distorsioni e quei fuzz scintillavano cori beatlesiani (all’epoca non avevo ancora ascoltato i Big Star) che mi facevano venire la pelle d’oca. Rumore e melodie, tutto assieme, tutto quello di cui avevo bisogno e non lo sapevo, e me lo stavano spiegando loro: questi quattro ragazzi abbastanza impresentabili chiamati Teenage Fanclub. “The Concept” era e resta un titolo formidabile, perché i 6 sterminati e necessari minuti di questa canzone sembrano davvero voler provare a contenere davvero tutta l’idea di musica della band di Glasgow: un indie rock fragoroso e sferzante, da un lato, e la lunga coda strumentale romantica, con archi, vocalizzi, svolazzi e assoli a profusione, tutto tenuto assieme da un grande, travolgente amore, che continua ancora oggi.
(Enzo Baruffaldi)
polaroid.blogspot.com
1. “Sparky’s Dream” (da “Grand Prix”, 1995)
“Grand Prix” (1995), album che fa parte del periodo Creation dei Teenage Fanclub (distribuito negli USA dalla Geffen), è forse l’apice creativo della band scozzese, quantomeno a livello di forma canzone. I tre songwriter del gruppo sembrano davvero dare il meglio: “Non credo che stessimo cercando di capitalizzare la cosa del Britpop, ma solo di scrivere canzoni migliori. Di nuovo, avere tre autori di canzoni aiuta: Ricordo che Gerry [Love] arrivò con Sparky’s Dream” e fu di grande ispirazione per me e Raymond [McGinley]”. Parola di Norman Blake (a NME, nell’agosto 2018).
“Sparky’s Dream”, scritto e cantato da Gerard Love, è senza dubbio uno dei miglior brani power pop anni novanta: sempre in crescendo, sembra non scendere mai. Melodie killer, un forse velato riferimento a Jonathan Richman (“that summer feeling”?) e un testo d’amore semplice ma immediato. La perfezione o poco ci manca.
(Monica Mazzoli)
foto in home Credit Mick Hutson Redferns