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Ci sono album nella storia del rock che per un motivo o per l’altro non riescono a raggiungere la notorietà che meriterebbero, finiscono così nella zona dei riconoscimenti postumi, più della critica che del grande pubblico, e acquisiscono lo status di piccoli “cult” per ristrette nicchie di musicofili. Questo è il caso del disco di cui parliamo oggi, un capolavoro dimenticato dell’ era grunge: “Fast Stories…from Kid Coma” dei Truly.
Band formata nel 1990 a Seattle (ovviamente!) vantava una sezione ritmica “di lusso”: al basso abbiamo infatti Hiro Yamamoto, ex Soundgarden, e alla batteria Mark Pickerel degli Screaming Trees. È tuttavia al cantante, chitarrista e poli-strumentista Roberth Roth che dobbiamo il grosso del lavoro in fase di scrittura ed arrangiamento.
L’album, nonostante la band sia già attiva da qualche anno, arriva negli scaffali tardi: siamo nel 1995, Cobain è ormai deceduto da un anno e l’attenzione si sta spostando in Inghilterra con il fenomeno del Brit Pop in fase di rapida ascesa. Forse anche per questa sfortunata tempistica non suscita troppo interesse. Eppure ne avrebbe meritato davvero.
Abbiamo a che fare con un tentativo ambizioso e magniloquente: realizzare un vero e proprio concept-album dalle sonorità grunge, per l’occasione ben diluite nella psichedelia e nella struttura quasi “prog” dell’opera. Il tema che lega fra loro i brani è grossomodo riferibile alla storia di un ragazzo che dopo un incidente automobilistico entra in coma. Nel suo stato comatoso intraprende però un viaggio nel suo inconscio e nei ricordi della sua vita recente, quella “Hot Summer 1991” a cui fa riferimento il brano omonimo.
Se Kurt Cobain e Josh Homme avessero deciso di scrivere canzoni insieme dopo aver scoperto una comune passione per i King Crimson probabilmente avrebbero fatto qualcosa del genere: i cantati, sopratutto nei momenti più aggressivi ricordano infatti il primo, mentre le atmosfere scure e dilatate anticipano un po’ il sound dei futuri Queens Of The Stone Age con cui condividono (guarda caso!) uno dei produttori, Adam Kasper.
Gli interventi di pianoforte acustico ed elettrico e addirittura del Mellotron suonati da Roth rappresentano una totale amenità rispetto agli standard del genere rendendo l’opera un artefatto più unico che raro. Non mancano neanche i riferimenti ai Doors (come in “Angelhead”) , ai Blue Cheer (ad esempio “Four Girls”) o ai Stoogees (“Tragic Telepathic” non avrebbe sfigurato sul loro “Fun House”) a rendere esplicito anche il riferimento al lato più hard e scuro della psichedelia dei sixties. Gli otto minuti di “Hurricane Dance” meritano davvero un plauso per l’atmosfera unica che riescono a creare, con un bel contrasto tra letargia ed accelerazioni improvvise, che verso la fine si tingono di trovate noise quasi sonicyouttane che lo rendono uno dei brani migliori e forse più rappresentativi dell’album. Unico difetto del disco è forse l’eccessiva durata che, sebbene ben gestita grazie alla varietà delle trovate musicali, avrebbe forse giovato di qualche minuto in meno.
Abbiamo a che fare con un lavoro che non può lasciare indifferenti: le emozioni, le gioie, le paure, la malinconia, la rabbia e i ricordi di questo “kid coma” diventano anche le nostre e ci scuotono. E se comunicare empaticamente emozioni è lo scopo principale di un opera d’arte, ai Truly possiamo tranquillamente dire: missione compiuta.
(Eulalia Cambria)