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I Coldplay sembrano voler seguire la “regola De Palma”. Mi sto riferendo a Brian De Palma, il regista. Una volta lessi, o forse me lo sono sognato, che a partire dagli anni ’90 il regista italoamericano accettava suo malgrado di girare i film “di cassetta”, quelli tendenzialmente più commerciali che gli venivano proposti dagli Studios, per poi finanziarsi e farsi approvare, subito dopo, i progetti a cui teneva veramente, e che sarebbero stati difficilmente accettati dalle case di produzione. Se in effetti guardiamo la sua filmografia dei Nineties ci sta: dopo il magnifico “Carlito’s Way” (1993) girò il blockbuster (anche se ben fatto) “Mission: Impossible” (1996) per poi darsi al suo classico stile “Omicidio in diretta” (1998) e rifinanziarsi con (l’orrido) “Mission to Mars” (2000).
Allo stesso modo parrebbe che anche i Coldplay stiano facendo la stessa cosa da una decina di anni: chi scrive considera ancora ascoltabile “Viva la vida or Death and All His Friends” (2008), anche se so che sono in minoranza, ma poi arrivò il tremendo “Mylo Xyloto” a cui il sottoscritto affibbiò uno dei voti più bassi della storia di Kalporz (25/100). Iniziava lì la consapevole sottomissione alla “regola De Palma”? Beh, nel 2014 non si sa se fu perché Chris Martin era più ispirato a causa (purtroppo) della separazione con Gwyneth o se appunto avesse un credito per fare quello che voleva, fattostà che “Ghost Stories” è un album onesto nel suo essere dimesso e in punta di piedi, un disco scritto da un uomo sconfitto e che per questo è da rispettare. Purtroppo anche in quelle nove canzoni i Coldplay davano tributo all’esigenza del “singolo radiofonico” delle case discografiche con la agghiacciante “A Sky Full Of Stars”, introducendo quasi una “regola De Palma” all’interno dello stesso album: “carissimi amici discografici, tranquilli, vi riservo il singolone, poi il resto lo faccio come pare a me, eh?”
Ma l’anno successivo si ripresentò la “regola De Palma” nel suo alternarsi di album, e tornò la fastidiosa ed immotivata euforia pop, vacua e incommentabile, di “A Head Full of Dreams” (2015) in cui – forse – può essere salvata “Hymn fo the Weekend” ma più che altro per il cameo di Beyoncé. “A Head Full of Dreams” diventava così il nuovo agnello sacrificale alle esigenze discografiche.
Al netto di tutti gli album live usciti e di cui ho perso il conto e che ritengo mere uscite riempitivo, come hanno usato i Coldplay il credito derivante da “A Head Full of Dreams”? Con un album di cui – a mio parere – si è parlato troppo poco e che è ingiustamente sottovalutato, ovvero “Everyday Life”: uscito sul finire del 2019, quando tutti eravamo presi dalle classifiche di fine decennio più che da quelle di fine anno, venne snobbato dalla critica quando invece i Coldplay visitavano linguaggi a loro sconosciuti come il gospel (“BrokEn”), l’american-folk (“Guns”), la musica americana anni ’50 sporcata dallo shuffle (“Cry Cry Cry”), l’orchestrale (“Sunrise”), la musica contemporanea (“بنی آدم“), insomma una sfida degna di chi non si accontenta del solito pop, a cui sono sempre e solo accostati per pigrizia. Senza considerare che i video di lancio dell’album, messi in diretta online su YouTube all’alba e al tramonto e girati su un immobile della cittadella di Amman, in Giordania, sono uno dei video più suggestivi che abbia visto da molto tempo a questa parte, soprattutto “Orphans” quando attorniano Martin per fare i cori dei ragazzi presi dalla strada e che si vede, nei loro occhi, di essere felicissimi per quella occasione. Era il 22 novembre 2019 e fu una delle ultime più belle occasioni di aggregazione musicale veicolate in misura mondiale, prima che roba del genere diventasse vietata per via del Covid.
Quest’estate i Coldplay ci sono cascati di nuovo: hanno applicato la “regola De Palma” ai due singoli finora usciti in anticipo dell’album “Music Of The Spheres”, atteso per il 15 ottobre: “Higher Power” è stata la solita “sboronata” universale, con tanto di lancio orbitale, e musicalmente soffre (sarebbe meglio dire fa soffrire gli ascoltatori) di quel pop vacuo con tanto di coretti inutili e di atmosfere da “new age” da Mulino Bianco, mentre poi arriva una suite di 10 minuti come “Coloratura” che segue, come hanno sottolineato tutti, l’insegnamento dei classici (Beatles, Pink Floyd) e che mi fa dire che ci vuole coraggio anche solo a pensare di far uscire una canzone di tale minutaggio nel 2021, figuriamoci pubblicarla davvero. E mi dispiace di avere il pensiero simile a quello di Cremonini, ma è così. Diciamo che, diversamente dal Cesarone di Bologna, il mio sottolineare è circa l’altalena a cui ci ha abituato la band di Chris Martin, che necessita di “saltare un turno” e passare direttamente al successivo per trovare qualcosa di interessante.
Che però c’è, e finisce per esserci sempre, per cui sarebbe ora di finirla di considerare i Coldplay bolliti tout court, e sapere invece che le loro uscite vanno analizzate secondo la regola De Palma. Costerà un po’ di fatica quando ci si troverà di fronte pezzi come “Higher Power”, ma sarà poca roba: si passerà oltre in maniera veloce, fermandosi invece ad abbeverarsi piacevolmente (non di più, certo) alle loro robe più “classic-pop/rock”.
Se siete liberi di fare quello che volete, bene, mi fa piacere per voi, ma per noi comuni mortali che siamo alle prese con le limitatezze economiche e di approvazioni: che non sia ora anche per noi iniziare a usare la “regola De Palma”?
(Paolo Bardelli)
foto di Dave Mayer messa a disposizione dai Colplay per usi promozionali