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Un paio di mesi fa, confrontandoci per una mia trasmissione radiofonica di cui era ospite, il Bardelli non ha esitato a selezionare i Junodream: “una nuova promessa pop-rock in salsa Union Jack, con passione smisurata per i Radiohead“, e il materiale finora uscito avvalora questa definizione.
Gli ho ricordato però che a mio parere anche i Clearlake da Brighton avevano caratteristiche simili, quando tra 2001 e 2006 realizzarono tre album per la Domino tanto meravigliosi quanto ingiustamente dimenticati. L’esordio “Lido” ha le canzoni migliori (lo shoegaze di “Winterlong”, mentre “I Want To Live In A Dream” flirta con il brit-pop), “Cedars” è il più avventuroso e meritevole di un pitchforkiano 9.1, infine “Amber” a tentare il colpaccio con la produzione di un Jim Abbiss reduce dal debutto degli Arctic Monkeys. Guidati dal chitarrista, autore e vocalist Jason Pegg le sonorità dei Clearlake abbracciavano quelle di Smiths e U2 pur guardando all’indie-rock fragoroso di Yo La Tengo e Dinosaur Jr.: probabilmente mancava loro la sfrontatezza e quel concedersi al mainstream che ha fatto le fortune ad esempio dei Coldplay, ma il talento è cristallino e rivelatore di un’arte viscerale e malinconica che mi ricorda da più parti i Radiohead di “The Bends”.
Certo qualche soddisfazione se la tolsero, come suonare con Elliott Smith al Meltdown Festival organizzato da Scott Walker, o le apparizioni nelle chart Uk e al Later Show di Jools Holland.
Ma nel 2009 interruppero la corsa privando i fan del quarto disco, che si doveva chiamare (ironicamente) “The Credit or The Blame”. Tra questi estremi, merito e colpa, gloria e fallimento, ci troverete una band che suonerebbe interessante anche oggi.
Every single day is the same old thing
And I have to say the novelty is wearing thin.
Would it be so bad if we only had
Something to look forward to?
(Matteo Maioli)