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Sufjan Stevens è un’artista insostituibile degli ultimi 20 anni. Il perché l’ha dimostrato a suon di album memorabili, passando dalle epifanie degli anni Zero all’Album con la “A” maiuscola degli anni Dieci, ovvero “Carrie & Lowell”. Incarna le migliori qualità delle generazioni che sono diventate grandi in questi due decenni, ovvero uno stupore intriso di curiosità e una fragilità piena di speranza (che, nel suo caso, è fede). Nell’ultimo lustro, peraltro, aveva un po’ deviato dalla sua cifra stilistica più classica, quella fatta di canzoni, di un folk delicato che esplode in fragorose orchestrazioni stupefacenti, perdendosi forse un po’. Sfido chiunque, innanzitutto, ad essersi ascoltato bene e con cognizione di causa le due ore e mezza di “Convocations” (2021), visioni meditabonde nella metafisica ambient, ma anche “Aporia” (2020), che è parsa più un’esigenza di connessione con il patrigno Lowell Brams che un progetto musicale completo. Più indulgenza deve essere invece espressa per il vestito micro-elettronico dei pezzi di “The Ascension” (2020), un disco forse da riascoltare meglio, e sicuramente va considerato da “pollice su” sia “The Greatest Gift” (2017), rilettura in bit di “Carrie & Lowell”, che il progetto collettivo (con Bryce Dessner, Nico Muhly e James McAlister) di “Planetarium” (2017), a mio parere magnifico.
Ben venga dunque questo “A Beginner’s Mind” in cui Sufjan torna al suo linguaggio più usuale, e forse proprio grazie al compagno di avventura di questo episodio, ovvero Angelo De Augustine, un cantautore che pareva proprio essersi ispirato proprio al dna di Stevens in tutti i suoi primi tre lavori (e dal secondo era diventato compagno di etichetta in Asthmatic Kitty) e che evidentemente ha restituito al suo “padre putativo” una chiarezza di intenti un po’ smarrita per strada. La prima annotazione da fare è che non si comprende dove inizia uno e dove continua l’altro, e questa è una bellissima dimostrazione di comunanza di vedute o di osmosi artistica. Questa unione lascia in sottofondo la visuale di concept dell’album con riferimento al cinema: come abbiamo letto da tutte le parti i due cantautori si sono isolati e si vedevano insieme dei film di notte per poi scriverne il giorno successivo, ma questo indirizzo non va a mio parere enfatizzato particolarmente perché è lo stesso Stevens che ha dichiarato che è stata solo una modalità di ispirazione casuale, una sorta di costruzione di binari dove la loro ispirazione poteva svolgersi senza perdersi.
Rimangono quindi le canzoni, molto ispirate, nella maggior parte dei casi sussurrate e pizzicate con chitarra acustica o mandolino, o alle volte delicatamente adagiate su un pianoforte (“(This Is) The Thing”), che insieme formano un album – cioè quella forma di espressione artistica novecentesca degli autori che vorrebbe ricreare una coerente fotografia dello stato musicale di un cantautore – denso e coeso. Senza farsi mancare qualche ritornello un po’ piacione (“It’s Your Own Body and Mind”) e qualche ritmo polleggiato tendente al soul (“Back to Oz”), “A Beginner’s Mind” mantiene la tensione costante di chi vive alla giornata, con meno rimpianti ma con un po’ di dolce nostalgia, gustando il sapore delle piccole cose. Un cambiamento radicale per chi aveva il progetto mastodontico e sborone di fare un album per ogni stato americano: superate le difficoltà personali (la perdita della madre), meglio ispirarsi alla poesia del quotidiano, del film visto la sera prima, che è una situazione più umana, normale e fragile.
Per questo dobbiamo essere grati a Sufjan (e questa volta anche ad Angelo), per avere rappresentato in note la dolce difficoltà che sperimentiamo spesso nel ricercare l’incanto nell’ordinarietà delle nostre giornate, senza illusioni ma con una maggiore consapevolezza della bellezza del mondo.
80/100
(Paolo Bardelli)