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I can’t see or understand why
pushing up can drag me down
take my time in everything
it breaks me up if I cant sing
“Down On Me”, The Jesus And Mary Chain
Viviamo un’epoca nella quale tutto è importante. Recensire enfatizzando è lo sport più praticato. Ogni venerdì escono centocinquanta dischi imperdibili che non toccheremo mai con mano.
Ma quelle sensazioni di unicità e partecipazione le provi soltanto ad un concerto. Di un gruppo della vita: che è stato o sarà argomento di discussione e fondamenta di rapporti, che perdi e ritrovi sulla strada visto che nessuno della generazione successiva potrà emularlo in qualità e visceralità.
Il 12 Dicembre all’Alcatraz di Milano si sono esibiti i Jesus And Mary Chain. Hanno suonato per intero “Darklands”, come mi è successo di vedere i Saint Etienne fare “Foxbase Alpha” o i Built To Spill “Keep It Like A Secret”. Jim Reid canta ogni pezzo, William si sfoga sulla pedalina quando non ricama trame essenziali di marca velvettiana. Breve (un’ora e venti) ma dannatamente intenso.
Ci sono stato con ragazzi approcciati solo pochi mesi fa, due di loro trasmettono sulla bolognese Neu Radio: la band scozzese è un amore condiviso di chi passa garage rock o elettronica. Ho finalmente incontrato Stefano Solaro e ci siamo sentiti come bambini pogando “Taste Of Cindy” con la birretta d’ordinanza. “Kill Surf City” mi ha fatto pensare agli scambi di cd copiati con il Merola quando le loro b-side le reperivi solo su “Barbed Wire Kisses”; “Nine Million Rainy Days”, tristemente, ai versi che il Guagno utilizzava per le informazioni personali su Facebook.
Perciò è sconfortante immaginare nuovamente concerti da seduti e persone distanziate. Locali che non riescono ad andare avanti e piuttosto chiudono. Il green pass mi è stato controllato tre volte. Tutti avevano le mascherine, c’era un’atmosfera stupenda. Evidentemente a qualcuno non basta, ma non ci fermeremo. I Jesus And Mary Chain hanno combattuto contro tutto e tutti, senza di loro non avremmo avuto la Creation, “Screamadelica”, la leva indie-rock degli anni zero. Saremmo più vuoti. Con chissà quali amici. I Reid Bros nelle loro canzoni ci dicono: Guardate avanti come facciamo noi da 40 anni, Eating up the scum/Is the hardest thing for/Me to do.