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“SICK!”, una condizione esistenziale collettiva di nausea, stanchezza, ma anche di vera e propria malattia è quanto ci hanno insegnato gli ultimi due anni ispirando il titolo e ridefinendo in parte il concept del quarto LP di una delle voci più originali e significative del rap contemporaneo.
Il nuovo album di Earl Sweatshirt, storico componente della Odd Future (fa strano crederlo, ma è ancora un under 30) e nostro primo artista copertina del mese del 2022 avrebbe dovuto intitolarsi “I Could Fly” dal titolo dell’incantevole raccolta di ventiquattro fiabe di Virginia Hamilton ispirate alla storia dell’emancipazione degli afroamericani che Earl di recente aveva letto con la figura più importante e decisiva della sua vita, sua madre. Grazie a lei, severa giurista della University of California sposata con il famoso poeta e attivista sudafricano Keorapetse Kgositsile, è stato sottratto a un periodo di vizi ed eccessi negli anni dell’esplosione planetaria della “Wolf Gang” e spedito a studiare nelle Samoa. Ancora più complesso è stato il suo rapporto con il padre recuperato poco prima della sua scomparsa nel 2018, anno di uscita dell’ultimo eccellente album, “Some Rap Songs”, con l’inserimento di alcuni versi di Keorapetse nella traccia “Playing Possum” come gesto di simbolica riconciliazione. Il padre avrebbe dovuto scoprirlo a sorpresa ascoltando il disco ma la morte, nel gennaio 2018, glielo ha impedito.
“SICK!”, come ha spiegato Earl è nato due anni nei primi mesi di pandemia e i vari lockdown che si sarebbero susseguiti e parla di solitudine, isolamento e inquietudine, dei mood abbastanza ricorrenti nelle sue produzioni soliste. Ancora una volta si tratta di un disco che ha la durata di un EP, circa venticinque minuti, un tratto distintivo che a volte ci fa pensare a quante altre tracce indelebili avrebbe potuto regalarci Earl se avesse allungato di solo un quarto d’ora la durata complessiva del disco. Ma ci si accontenta di quell’inconfondibile flusso di coscienza che si incastra alla perfezione nelle produzioni cinematografiche ed evocative di Alchemist e quelle più elettroniche e trap di Black Noi$e. La produzione è invece affidata a un altro amico, Navy Blue, nella titletrack, impreziosita da un estratto di una famosa intervistatratta dal documentario del 1988, “Konkombe: The Nigerian Pop Music Scene” in cui Fela Kuti afferma che “l’arte è ciò che sta succedendo in un particolare periodo storico di sviluppo o sottosviluppo di un popolo e per questo motivo per quanto riguarda l’Africa la musica non può essere pensata per divertimento, ma per la rivoluzione”.
Le ipnotiche barre di Earl si interrompono solo per dare spazio alle incursioni dell’amico e rapper di Detroit Zeloopers, ospite di “Vision”, e per quelle di due degli MC newyorchesi “d’autore” più stimati della scena contemporanea, Elucid e Billy Woods, componenti del troppo sottovalutato duo Armand Hammer. Non a caso sono le uniche tracce che superano i tre minuti insieme alla conclusiva “Fire In The Hole”, classico svarione à la J-Dilla sulla scia di “Some Rap Songs”.
“SICK!” è il seguito perfetto portando ancora una volta Earl in una dimensione onirica e poetica dove visioni e racconti biografici si mischiano in atmosfere sempre più East Coast, se si fa eccezione per le più “earliane” e contemporanee “Titanic” e “Lobby Int.”.
Non è più un mistero, ma l’irriverente e irrequieto rapper californiano si è trasformato definitivamente in una delle voci più conscious e mature della scena hip hop.
82/100