Share This Article
Quando iniziano le canzoni di David Eugene Edwards poco conta che ci si trovi nel 1995, il pezzo si intitoli “Haw” e il suo gruppo 16 Horsepower oppure sia proprio febbraio 2022, “Tempel Timber” il titolo del brano e si sia dalle parti del nono album dei Wovenhand: sempre dell’Apocalisse si sta parlando. Il cantante chitarrista del Colorado, cresciuto artisticamente a Los Angeles, è sempre più alla ricerca di quel momento in cui il Cielo si squarcia e si catapulta in Terra, in cui angeli e demoni si mischiano e combattono per quel che rimane. Anche in “Silver Sash” il non detto dell’album è che stia per accadere qualcosa di terribile ma allo stesso tempo salvifico, una svolta da Vecchio Testamento e questo lo si sa da tempo conoscendo l’amore di Edwards per i testi biblici, i sermoni del vecchio nonno, il gotico dark e il country-doom: e se nei 16 Horsepower era il banjo il padrone della scena, nei Wovenhand (e anche in questo “Silver Sash”) montagne di chitarre elettriche che innescano ci accolgono in questi panorami south dove ancora si trovano sciamani e nativi americani che convivono pacificamente prima dell’arrivo della cavalleria.
Ma se canzoni come “Acacia”, “Duat Hawk” e “Omaha” sono nella scia della poetica da fine del mondo tipica di David Eugene, non manca qualche incursione nell’industrial (“The Lash”) o in ballate gotiche dal piglio elettronico (la titletrack che conclude l’album).
I Wovenhand insomma sanno continuare per la loro strada senza perdere di direzione ma indossando nuove collane e copricapi che li rendono ancora più credibili, senza dimenticare che – a parere del sottoscritto – è poi il live la dimensione autentica della band, dove il flusso di coscienza di Edwards si manifesta in tutto il suo sconvolgimento emotivo come in preda a un terrore calmo che atterrisce e paralizza. “Silver Sash” immobilizza l’ascoltatore che cerca di sfuggire alla verità, ma è inseguito da Edwards che gliela ricorda. Non un disco da ascoltare in ogni ora o momento del giorno, dunque, bisogna essere preparati e forti per affrontare il finimondo musicale dei Wovenhand, il crudo vangelo che fuoriesce dagli inneschi delle chitarre di Edwards. Ma alla fine si ha la sensazione di avere vissuto un’esperienza che val la pena di fronteggiare.
Il momento della Verità.
74/100
(Paolo Bardelli)
foto in home di Olivier Bourgi