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Califfato usa il thriller palpitante per ricostruire il meccanismo di reclutamento dell’ISIS e la preparazione di un attentato: per questo mostra ciò che non vorremmo vedere
La serie sull’ISIS. Nella pancia del serpente
La piattaforma Netflix non è solo la library in evidenza o i dieci titoli più visti. C’è anche un numero considerevole di oggetti disponibili ma occulti, rilasciati e poi dimenticati, non particolarmente pubblicizzati. E quindi poco visti. È il caso di Califfato, una delle serie più scomode e spiazzanti degli ultimi anni, la più disturbante finora disponibile sul tema dell’ISIS.
Ideata nel 2020 da William Behrman e Niklas Rockström, appena tornati sugli scudi con The Unlikely Murderer, è un’altra miniserie di otto puntate girata nell’arco di 360 minuti.
Gli autori costruiscono una storia che va al cuore dello Stato Islamico, inquadrato da vicino e da una posizione di distanza che lo rende ancora più sconcertante, ovvero dalla sua penetrazione in Occidente. Il racconto si svolge infatti su due piani: uno in Siria, precisamente a Raqqa, capitale dello Stato Islamico proclamato dagli estremisti dal 2014 al 2017, e l’altro in Svezia, nel ventre dell’Europa cresciuta sulla mitologia del modello nordico. Siamo subito avvertiti: nella prima sequenza, in territorio siriano, un individuo marchiato come infedele viene trascinato in piazza e si procede al taglio della mano.
A Stoccolma la protagonista è l’agente Fatima (Aliette Opheim), assegnata all’anti-terrorismo e malvista dai superiori, che per una serie di circostanze inizia a fiutare la possibilità di un grande attentato. A Raqqa, invece, la figura centrale è Pervin (Gizem Erdogan), giovane donna musulmana con neonata al seguito, sposata con un membro degli estremisti e desiderosa di fuggire e tornare in Svezia: è lei che contatta l’agente Fatima e diventa la sua talpa; fornirà dettagli sulla preparazione dell’attentato in cambio della promessa di essere tratta in salvo dai tagliagole. Sempre a Stoccolma – ed ecco la parte più interessante – seguiamo la parabola di una studentessa di origine islamica che si radicalizza: Sulle (Nora Rios), una liceale già polemica sul trattamento dei musulmani nell’evoluto Occidente, che sui banchi di scuola va a lezione di estremismo. Verrà attirata facilmente nella rete di Ibbe (Lancelot Ncube), un membro dello Stato Islamico su territorio straniero, detto “Il Viaggiatore”, che, sotto le mentite spoglie di aiutante scolastico, prende le ragazze che nutrono dubbi sulla sostanza della democrazia e le avvolge lentamente nelle spire dell’estremismo. Obiettivo? Portare le giovani a sposare la causa e partire per la Siria, aderendo allo Stato e nutrendo la fabbrica delle mogli per i jihadisti, ovviamente senza diritti, umiliate e castigate. Con la sua intelligenza e spigliatezza, i travestimenti impensabili e l’abilità nel costruire bombe, Ibbe è il morso del serpente. La pancia sta in Siria, nello Stato autoproclamato, che sibilando attira a sé le sue vittime. E così la serpe striscia anche in Europa, davanti a noi, dentro le nostre case.
D’altronde, Kalifat si ispira proprio alle morti che il Daesh riuscì a provocare in quegli anni, sia in Europa che negli Usa, mediante azioni coordinate e spietate. È una serie costruita su un triplo occhio: l’agente di polizia, la siriana sfruttata, la studentessa svedese. Tutte donne. I tre sguardi si intrecciano continuamente, incrociando figure secondarie come i fratelli svedesi che partecipano all’attentato. Attenzione: non è un racconto che semplifica, demonizzando i criminali del Daesh col loro viscido proselitismo. Questo viene descritto realisticamente, attraverso una ricostruzione che proviene da un lungo lavoro di studio da parte degli autori: è così che funziona, piaccia o meno.
La forza di Califfato risiede però da un’altra parte: nel suo essere sempre, fino in fondo, una miniserie di genere. È infatti un thriller pieno di svolte e colpi di scena, di voltafaccia e omicidi, il percorso è mirabilmente condotto e il fiato sospeso finisce all’ultimo fotogramma. Senza buonismo né comode soluzioni, anzi: il finale è agghiacciante. E girato dagli autori con intento conclusivo, quando era già esclusa una seconda stagione. Senza dire troppo, impossibile non rilevare che il serpente resta a piede libero. È ancora tra noi. Per questo Califfato mostra ciò che non vorremmo vedere, davanti al quale siamo soliti voltare la testa.
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- Califfato [Kalifat, Svezia, 2020]
- REGIA Goran Kapetanović
- CAST Aliette Opheim, Gizem Erdogan, Nora Rios, Lancelot Ncube
- SCENEGGIATURA William Behrman, Niklas Rockström
- Drammatico, thriller, 8 episodi di 45-50 minuti
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