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Il Locomotiv Club di Bologna è una delle realtà cui siamo più affezionati. Dopo quindici anni di concerti e festival – leggi la nostra intervista al Locomotiv se te la sei persa – il club ha un’etichetta a suo nome, la Locomotiv che l’8 aprile ha pubblicato l’esordio dei Korobu, “Fading | Building” è il paesaggio sonoro di un’epoca segnata dalle fratture della Storia, quei momenti in cui tutto ciò che c’era prima sembra sbiadire e dissolversi, mentre si spalanca di fronte a noi un tempo nuovo, tutto da immaginare e costruire. È la vertigine che si prova quando ci si trova in bilico fra due spazi vuoti, fra due assenze.
“Fading | Building” è il debutto bolognesi Korobu, formazione composta da Giallo (voce, basso e synth), Alessandro (chitarre e synth) e Christian (batteria e percussioni elettroniche). Il disco esce l’8 aprile ed è la prima release della Locomotiv. L’artwork dell’album vanta la firma di un artista iconico di fama mondiale, Ericailcane, fra gli esponenti di punta di quella generazione europea di nuovi street artist che hanno rivoluzionato il modo di concepire lo spazio pubblico.
Il label manager della Locomotiv è Giovanni Gandolfi, già direttore artistico del Club, oltre che fondatore dell’etichetta discografica Unhip Records (2001 – 2014), con cui ha vinto i premi: Miglior Produttore Discografico – M.E.I. 2007 e Miglior Etichetta Discografica per l’estero – M.E.I. 2008.
Fading the past, building the present. Fading the idea to make music, building a new place to play. Fading a golden age, building a family. A fading band, building a friendship. Fading understanding, building fights. A fading song, another one to build. Fading egos, building better ideas. Fading rage, building beliefs. Fading best, building possibile scrivono i Korobu, parola giapponese che indica l’atto di abiurare che i monaci Buddisti imponevano ai Gesuiti nell’antico Giappone. Un termine che letteralmente significa perdere la propria fede ma in senso più filosofico e metafisico vuol dire perdersi, precipitare.
“Weird Voices“, “Roads“, “Dropped Pleasure“, “Get Lost“, “Tongue on Tongue“, “Even Today“, “Interstellar” e “On the Edge” sono le otto tracce che compongono un caleidoscopio di atmosfere e generi molto diversi tra loro: dall’indie rock all’electro wave, fra blues contaminato da incursioni elettroniche e ritmi esotici riletti in chiave metropolitana e retro-futurista, grazie anche alla passione quasi feticistica dei componenti della band verso gli strumenti più ricercati: microfoni vintage e preamps dall’East German National Broadcasting (RFZ), synth, chitarre e bassi da collezione, percussioni etniche raccolte in giro per il mondo.
Ispirato da band e artisti come Animal Collective, TV on the Radio, Talking Heads, Liars, Can, Silver Apple, Beatles e Liquid Liquid, il disco ha avuto una gestazione di tre anni, percorrendo molte traiettorie, a testimonianza di un intenso periodo di transizione personale e creativa: “abbiamo costruito e dissolto i brani molte volte, li abbiamo elaborati, trasformati, incarnati in altre strutture e melodie, fino ad arrivare ad una sintesi che crediamo possa rappresentarci in questo momento”.
La band ha provato a raccontarsi attraverso 7 tracce che ne hanno ispirato la formazione musicale
Burial – “Street Halo”
La capacità di creare atmosfere sottili e taglienti con pochissimi mezzi, una cassa e poco altro. Riuscire a creare con poco, svuotare ciò che è pieno e tenere il cuore emotivo del brano.
King Krule – “Stoned Again”
Una voce gigantesca che si fonde con gli strumenti veri, quelli di una volta. L’essenziale che ritorna, una composizione cattiva che ti fa venire voglia di metterti dietro a una batteria e menare forte.
Rose Royce – “Car Wash”
Il tiro del R&B è stata la luce fulgida che ha ispirato il groove di alcuni brani. Nonché alcune parti vocali.
Robert Wyatt – “The Age Of Self”
Il lirismo di Wyatt è qualcosa che se ami non ti scrolli più di dosso. Ti cambia il modo di percepire le cose. Anche solamente nel guardare un paesaggio. In questo brano in più la vena polemica e critica verso un sistema economico usurpatore ne impreziosisce il contenuto.
Fugazi – “Cashout”
Una delle canzoni che potresti ascoltare per sempre. Il pit stop di 20 anni garage punk. Qui si arriva e da qui si riparte, questo pezzo ha il potere di racchiudere l’atmosfera e l’energia di tutto quel periodo, essendo contemporaneamente un grande classico, con quel riff di chitarra incastrato perfettamente in un ritmo sincopato, e un trampolino verso le infinite strade che potrà prendere il rock. Ha il potere di rigenerarti, di riportarti ad una sorta di equilibrio musicale primordiale, sospeso e teso, pronto ad esplodere e a farti saltare in aria.
Fever Ray – “Mama’s Hand”
Una perfetta commistione tra reminiscenze tribal ed elettro pop. Questo pezzo ha la capacità di evocare una danza primordiale, ipnotica e ripetitiva in un contesto “sintetico” che potrebbe essere tanto una dance floor come la propria auto. Con sottili e quasi impercettibili varianti, la struttura ritmica rimane costante dall’inizio alla fine ma viene percepita in modo sempre diverso: gli accenti cambiano, alcuni suoni e percussioni entrano, altri escono, si intrecciano, si dissolvono in lontananza, lasciando in primo piano un loop melodico che ti accompagna come in un percorso trascendentale.
Brian Eno & David Byrne – “Qu’Ran”
Un pezzo di una bellezza inaudita. Un trip lisergico e mistico immerso in una giungla sonora in cui non hai riferimenti di sorta e ti ritrovi in questo fluttuare languido senza avere più alcun controllo.Traccia rimossa dal disco My Life in the Bush of Ghosts di Eno e Byrne poiché tacciata di blasfemia dall’Islamic Council del Regno Unito in quanto contenente passi del Corano.