Share This Article
Erano passati quattro anni dal suo ultimo album in studio e Pusha T sembra aver preso gusto a farsi attendere più a lungo della media. Un’abitudine tutt’altro che ben augurante per un artista il cui il talento è sempre stato inversamente proporzionale alla prolificità. Tra l’esordio “My Name Is Name” e l’album eponimo del suo nome di battaglia “King Push – Darkest Before Dawn: The Prelude” erano passati due anni, poi ce ne sono voluti altri tre per il terzo capolavoro, il crudo e bruciante “Daytona” che in ventuno minuti e sette hit registrate nel ranch del Wyoming di Kanye West aveva messo in chiaro – se ce ne fosse ancora bisogno – il suo predominio nella scena hip hop contemporanea. In un ecosistema virtuale bulimico fatto di mixtape e album infiniti dove spesso è difficile distinguere tracce chiave da tracce filler inserite per esigenze algoritmiche, King Push resta una certezza: se i primi tre album in studio non arrivano tutti insieme sommati a 100 minuti, anche “It’s Almost Dry” non esagera nel minutaggio e si lascia ascoltare in trentacinque minuti equilibrati e, neanche a dirlo, tecnicamente perfetti.
L’ormai quarantacinquenne nato nel Bronx, ma cresciuto in Virginia nel corso di questi anni sospesi è diventato padre, ma non ha del tutto messo la testa a posto (il secondo nome, Brixx è una parola usata in slang per indicare la coca) né ha cambiato scenari delle sue impagabili ambientazioni di strada.
Senza strategie promozionali cervellotiche, a fine gennaio ha pubblicato l’immagine di una foto di Lana del Rey ricoperta di polvere bianca spiegando che sia lui che la cantautrice americana simbolo degli Anni Dieci trovano ispirazione nelle stesse cose. Anche se lo stesso Thornton non ha nascosto di essere stato molto colpito e influenzato dalla figura di “Joker” interpretata da Joaquin Phoenix nel film di Todd Philips del 2019, oltre alle solite storie di droga e malavita. Un paio di settimane dopo è uscito il primo estratto, “Diet Coke”, che ha confermato il sodalizio con Kanye West, o come si fa chiamare oggi, Ye, collaboratore e amico di vecchia data con cui King Push può vantarsi di non avere pubblicamente mai litigato a differenza del 90% dei suoi colleghi e omologhi.
Come sempre, sia nei panni di produttore che nei più umili panni di guest, Kanye quando è al fianco del suo storico presidente di etichetta, sembra a tratti rigenerato, ma a differenza di “Daytona” i meriti vanno ripartiti con altri maestri non da poco. Pusha T per il suo quarto album è tornato infatti a coinvolgere Pharrell Williams che insieme a Chad Hugo, l’altra metà di The Neptunes aveva dato un sound inconfondibile ai Clipse. Pharrell, che non era mai stato uno dei produttori centrali nei dischi solisti di Pusha T, contribuisce a sette delle undici tracce di “It’s Almost Dry” ed estende come solo lui la gamma di colori delle produzioni: il fulminante uno-due iniziale con “Brambleton” / “Let The Smokers Shine The Coupes” chiarisce subito questo effetto “Daytona” pimpato da Pharrell, come anche nelle straripanti “Call My Bluff” o “Open Air”, la quintessenza di quella vecchia scuola Neptunes con sonorità e produzioni figlie di questo tempo che prendono letteralmente a ceffoni chi ascolta, nell’esatto momento in cui fa play.
Per notare l’apporto basta ascoltare i brani a cui non contribuisce e che comunque non abbassano il livello anche perché al timone ci sono dei superteam, come quello che affianca Nigo, direttore creativo di Kenzo e dj giapponese ospite del secondo singolo “Hear Me Clearly”. Oppure gente come Kanye West in maniera evidente ai limiti dell’autoreferenziale in “Dreamin Of The Past” e “Just So You To Remember” che giocano rispettivamente su due classici del 1971, la più famosa “Jealous Guy” di John Lennon nella versione motown di Donny Hathaway” e la meno nota “Six Day War” dei Colonel Bagshot ispirata alla Guerra dei Sei Giorni in Palestina (già campionata con esiti altrettanto degni di nota da DJ Shadow in “Six Days” nel 2002).
L’album non perde intensità nemmeno quando l’inconfondibile flow affilato di King Push dialoga prima con Lil Uzi Vert e Don Toliver (“Scrape It Off” / “Neck & Wrist”) e poi con Jay Z e Pharrell, nell’ipnotica “Neck & Wrists” (terzo singolo pre-disco), dove Pusha T sembra un 50 Cent che si scontra su un riddim d’annata.
In questo turbine di angosce e barre che si susseguono e inseguono senza sosta ci sono anche due momenti elegiaci molto ben riusciti come “Rock N Roll” dove accoglie Kid Cudi insieme Kanye West e la conclusiva “I Pray For You” dove ricompare il fratello e metà-Clipse Malice con Labrinth, il rapper inglese esploso grazie alle serie manifesto “Euphoria”.
Quelli di “It’s Almost Dry” sono trentacinque minuti davvero intensi, in cui succedono davvero tantissime cose.
Ancora una volta Pusha T ha lasciato ai posteri un capolavoro e l’unica speranza è quella di non dover aspettare cinque anni per il quinto capitolo di un’esaltante e sempre autentica saga gangsta-rap.
86/100