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Un dialogo tra il pianoforte, i synth elettronici, i suoni della notte e le luci e le ombre che si agitano nel proprio inconscio: è questo l’universo attorno a cui si muove “Notte”, il nuovo album di Cucina Sonora, progetto del pianista e compositore Pietro Spinelli, già session man e turnista, tra i tanti, per Rkomi, Gianpace, M.E.R.L.O.T., Claudym, Elasi.
Diplomatosi in pianoforte classico al Conservatorio di Siena, e spostatosi poi a Berlino per studiare composizione elettronica al prestigioso dBs Institute, Spinelli ha sempre cercato nella sua musica una sintesi tra questi due universi di provenienza, addizionando alla materia sonora trattata uno stile pianistico che procede per contrasti, aperto a scontrarsi con glitch e broken-beat elettrici, esplorando nascoste profondità emotive. Seguendo questo fil-rouge, dopo un disco d’esordio che gli ha permesso di collezionare una ricca esperienza live in Italia ed Europa, e gli ultimi singoli pubblicati per INRI Classic, arriva ora questo nuovo lavoro, “Notte”, che segna un punto importante nel suo percorso di produttore. “Notte è sicuramente il lavoro più complesso che abbia realizzato, per una serie di fattori. Ho iniziato a scrivere questi brani di notte, senza una ragione precisa, e gradualmente il setting che mi circondava ha iniziato ad influenzare in maniera prepotente le mie composizioni. Ogni brano è diventato così una “risposta” che ho elaborato alle diverse fasi della notte o del sogno che mi sono trovato ad affrontare durante la lavorazione”.
Per andare alla scoperta di “Notte”, abbiamo ripercorso con Pietro Spinelli 7 ispirazioni fondamentali del suo percorso musicale.
David Byrne – “Come funziona la musica”
Non sono un grande lettore ahimè e molto spesso faccio fatica a trovare libri che mi piacciano.
Questo è stato una rivelazione. Ovviamente è un must e in molti già me lo avevano
consigliato. Me lo sono divorato ed è stato un viaggio stupendo, tra scoperte di storie di altri
tempi e aneddoti meravigliosi che ti fanno rivivere certi momenti della storia della musica
dell’ultimo secolo. Mi ha dato una bella spinta ad ascoltare robe nuove e scoprire nuovi artisti,
per quanto distanti da quello che faccio o che sono solito ascoltare.
Stimming – “Alpe Lusia”
Photay – “Onism”
Credo che siano i due album che ho ascoltato di più nell’ultimo periodo in assoluto. Nel loro
minimalismo dentro c’è tutto quello che serve. Sono stati molto di riferimento per alcune delle
mie tracce. La sfida era riuscire a far suonare bene la mia roba come questi dischi qua, in cui
si sente tutto ma soprattutto si percepisce il vuoto, lo spazio tra un suono e l’altro. Ogni cosa è
al suo posto, riempie, ma non ingombra, non satura e lascia respiro alle pause, creando
sempre dei groove molto interessanti.
Dark
Forse la serie più bella vista negli ultimi anni. L’ho vista quando ancora vivevo a Berlino, in
Italia non era ancora uscita. Sono un patito del viaggio nel tempo, da “Ritorno al Futuro” in poi.
Questa serie qua mi ha tenuto incollato allo schermo per tutto il tempo. Mi piace arrovellarmi il
cervello in storie intricate e complesse, come se fosse quasi una sfida, cercare di anticipare il
finale, provare a capire cosa è successo, cosa sta succedendo e cosa succederà (anche se
spesso non ci indovino). Anche quando scrivo musica molto spesso è così, cerco sempre di
prendere la strada che non ti aspetti, non mi interessa tanto soddisfare, quanto provare a
stupire, creo nuovi problemi da risolvere, nella speranza poi di riuscire a farlo. Per questo
molte delle mie tracce sono da ascoltare con calma e con attenzione. Allora diventano
intriganti…
Mr Nobody
È semplicemente geniale, me lo sono visto più volte nel giro di poco tempo perchè ci sono
davvero molte sfumature che non si possono cogliere alla prima. Credo che si possa
riassumere con: la paura di scegliere. Mi ci rivedo molto. La prima volta l’ho visto proprio
mentre stavo iniziando a scrivere il nuovo album, in cui davanti si ha solo un’infinità di scelte
da fare e nessuna certezza, solo un’infinita serie di bivi. Che taglio dargli, come scriverlo, che
strumenti usare, che idea seguire… Per quanto sia difficile però alla fine è bello scegliere. Ci si
deve comunque schierare in un qualche modo. È facendo delle scelte che si plasmano
determinate cose, nel bene o nel male, altrimenti appunto si rimane Nessuno.
Nikolai Kapustin – “Eight Concert Etudes, Op. 40”
Personalmente una delle scoperte pianistiche più belle che abbia fatto negli ultimi tempi. Un
connubio di mille stili cuciti perfettamente tra sé, non importa il genere finale. Mi ha dato una
nuova carica di rimettermi a studiare e cercare di scrivere robe nuove, non tanto complesse a
livello tecnico, quanto intriganti a livello di ascolto. Vorrei riuscire a catturare l’attenzione come
le sue note di pianoforte hanno catturato la mia.
Nicolas Jaar – “Space Is Only Noise”
Comprai il vinile di questo disco diversi anni fa da Serendeepity a Milano mentre ero di
passaggio tra un live e un altro. Conoscevo Nicolas Jaar ma non questo album e, non so per
quale motivo, mi affascinò incredibilmente la copertina, quindi lo presi pressoché senza
saperne niente. È un album incredibilmente elegante, minimale, ma ricchissimo nei dettagli.
Inoltre, riesce sempre in modo magistrale ad unire suoni organici (acqua, legni, pioggia) a
suoni limpidamente digitali, con basse profonde, rotonde e morbide. È stato uno di quei dischi
che mi ha fatto pensare “Ecco, vorrei arrivare a questo balance qua nel mio genere”. Per
quanto possa essere distante dal mio album è un disco a cui devo molto, è un disco da
ascolto concentrato, da ascoltare più e più volte per fare caso ogni volta a dettagli nuovi,
senza dubbio non un semplice sottofondo.