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La fine degli anni ’80 è stata un punto di svolta per il fumetto americano e mondiale, in particolar modo per quello supereroico, che ha mostrato di poter offrire una profondità e uno spessore non inferiori a quelli di altri generi fumettistici né a quelli di altri mezzi espressivi.
Questo passaggio è avvenuto grazie ad un pugno di sceneggiatori che in quegli anni hanno scritto le cose giuste al momento giusto, creando opere così significative da imprimere un segno indelebile nel medium e che in questo modo hanno guadagnato lo status di classici. Alan Moore e Frank Miller sono due dei maggiori artefici di questa evoluzione dei comics, del genere e della presa di coscienza delle sue potenzialità. Magari decostruendo, oppure rendendo i suoi protagonisti una allegoria di disperazione e cupezza, ma sempre in una chiave affascinante, tanto che questi fumetti, nati in seno alla DC Comics, hanno influenzato anche la sensibilità di autori della Marvel (un classico esempio è L’Ultima Caccia di Kraven di John De Matteis e Mike Zeck).
In questo contesto si inserisce un altro autore, che nel decennio successivo avrebbe ottenuto una certa fama come autore di fumetti, sceneggiatore per cinema e TV e romanziere di successo: Neil Gaiman, che in quegli anni muoveva i primi passi nel mondo della narrativa.
Nel 1987, Gaiman viene coinvolto da Karen Bergen nella campagna di rilancio di molti personaggi DC di seconda fascia e, quando si trova a dover scrivere Black Orchid – miniserie in tre numeri che rinarra le origini di questo vecchio personaggio – affronta il progetto filtrando in una maniera del tutto personale questo nuovo approccio al fumetto.
Lungi dal raccontare una storia canonica di supereroi, l’autore rifugge infatti anche quel tipo di atmosfere “estreme” che imperversavano allora e che trovano un valido esempio in alcune scene di The Dark Knight Returns di Miller, scegliendo piuttosto di raccontare una storia eterea, onirica, misteriosa e poetica, suadente e carezzevole.
Black Orchid, la supereroina protagonista dell’omonima serie, si presta sicuramente ad una atmosfera del genere, dato che Gaiman rende questo personaggio, legato alle piante e alla natura, un simbolo della serenità e della poesia che possono scaturire dal contatto più puro e sincero con la natura. L’autore inglese potenzia questi tratti per raccontare una storia che dal verde incontaminato arrivi ad una riflessione sull’esistenza, sulla vita, sul desiderio di non morire e sulla liceità di alcuni desideri degli esseri umani.
Già le prime tavole mostrano la volontà di Gaiman di andare oltre certi cliché della scrittura a fumetti: si rintraccia infatti uno sguardo ironico e quasi beffardo su certe regole ormai stantie e poco efficaci di alcuni topoi della narrativa supereroistica, mettendo in mostra la loro assurdità addirittura per bocca di un personaggio della storia.
Man mano che l’avventura prosegue, però, l’autore mostra sviluppi molto più intimistici, meno violenti, nei quali l’epica del supereroe lascia spazio a riflessioni personali e all’animo dei protagonisti, riuscendo in particolare a far emergere la disarmante follia e depressioni di alcuni di loro.
Tutto ciò avvicina la scrittura di Gaiman in Black Orchid a quella di Alan Moore, che con il suo ciclo di Swamp Thing era arrivato a toccare temi riguardanti la natura e le sensazioni ad essa collegate.
Considerando che in uno dei primi contatti con la DC Gaiman aveva proposto proprio una storia di Swamp Thing, non sorprende che Gaiman sfrutti l’esigenza di collegare Black Orchid con altri soggetti del DC Universe per utilizzarlo come una delle comparse più significative; la protagonista interagisce poi anche con altri personaggi, e ancora una volta lo scrittore britannico dimostra di saper amalgamare senza compromessi la sua storia con il resto degli eroi della casa editrice.
Mancavano ancora un paio d’anni alla creazione di Sandman, e molti altri alla realizzazione di romanzi fantasy come Nessun Dove, Coraline e American Gods; la sensibilità di Gaiman avrebbe avuto modo e tempo di raffinarsi fino a partorire magnifici affreschi che hanno contribuito a gettare nuova luce su un genere narrativo in cui non sempre è facile realizzare qualcosa di originale e significativo. Eppure già in Black Orchid l’autore mostra le sue capacità, il mondo nella sua testa e la voglia di raccontarlo in modo inedito ed affascinante.
Buona parte del merito va anche al disegnatore, quel Dave McKean che negli anni successivi avrebbe affiancato ancora in molte occasioni Gaiman tra copertine di Sandman e illustrazioni per i suoi racconti, e che qui mette già in campo il suo talento visionario e la sua abilità nel creare soluzioni inedite nella composizione della tavola, che si esprimono nella struttura delle vignette e in parte nello stile pittorico e a tratti surreale con cui McKean realizza l’opera, senza con questo rendere di difficile fruizione la storia.
Il sodalizio tra i due artisti è vincente, due anime simili che si sono incontrate e hanno potuto far sbocciare un’opera affascinante e immaginifica, bellissimo presagio di quanto i due stavano per realizzare negli anni successivi.
Abbiamo parlato di:
Black Orchid
Neil Gaiman, Dave McKean
Traduzione di Silvia Bertini
Panini Comics, febbraio 2022
168 pagine, cartonato, colori – 21,00 €
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