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La “fine inevitabile” doveva essere proprio l’ultima fermata: i Röyksopp avevano annunciato “The Inevitable End” (2014) come il loro addio, e forse era giusto così. Il loro periodo era finito, tutta una certa elettronica degli anni Zero sapeva, già a metà dello scorso decennio, di retromania perché le ritmiche si stavano sfaldando, si espandevano in luoghi ambient, incontravano nuovi sfondi creati non più da groovebox e synth ma direttamente da pc in modo più artigianale, più manuale e meno perfomativa, godevano maggiormente dei rumorismi che dei panorami estatici alla Jean-Michel Jarre e Vangelis che avevano fatto da faro ad artisti come i norvegesi. Poi (ma proprio subito) i Röyksopp ci avevano ripensato, e avevano dapprima contribuito alla compilation “Star Wars Headspace” (2016) di Rick Rubin con “Bounty Hunters” per poi pubblicare nel 2019 una serie di singoli ripescati dagli archivi e racchiuderli in un progetto dal titolo “Lost Tapes” (uscito anche in fisico lo scorso anno). Fino ad oggi erano rimasti irremovibili sul fatto di avere “smesso” con il “formato tradizionale dell’album”, ma evidentemente non era così. O, meglio, la veste a loro dire diversa in cui hanno racchiuso “Profound Mysteries” è quella del concept, ma – a mio parere – sempre album è, non è che possono dire di aver fatto qualcosa di differente.
Questo incipit storico si è reso necessario per capire che, al di là della contentezza da fan per il loro ritorno, c’era la curiosità di capire se effettivamente il duo avesse ancora qualcosa da dire. Ce lo avrà, se è andato oltre le sue stesse proposizioni di chiudere su baracca e burattini, si poteva pensare. E invece… Non che “Profound Mysteries” sia un brutto disco, ma ci ripropone gli stessi Röyksopp, solo più intrippati con il progetto visuale: nessuna rivoluzione, nessuna nuova direzione, come se Holly Herndon non fosse esistita e nessuna destrutturazione della musica elettronica fosse in atto. Certo, i Röyksopp avevano già fatto la loro scelta di campo preferendo un’elettronica che guardasse all’estasi psichedelica piuttosto che alla schizofrenia disarticolata dei bit (scelta quest’ultima compiuta invece dagli Autechre), ma certo in questo decennio ci si poteva aspettare che i norvegesi portassero l’asticella più in là.
E invece si devono annotare le singole canzoni come se fosse un normale album: gustose sono le tranquille “The Ladder” e “How Flowers Grow” (impreziosita dalla bravissima Pixx), dove cori solenni e pad transienti avvolgono le ritmiche come all’interno di una spessa ovatta, piuttosto coinvolgente (senza esagerare) è “Impossible” impreziosita da un featuring pazzesco come quello di Goldfrapp, ma poi c’è roba per cui ci si chiede se i Röyksopp siano definitivamente invecchiati (male), come la melodia classica di “If You Want Me”. Un po’ di tutto insomma, il che rende “Profound Mysteries” eterogeneo e non tutto all’altezza del nome dei Röyksopp. Cioè, non proprio un album di cui non andare fieri, ma uno di quelli di cui il pubblico avrebbe fatto probabilmente a meno.
Peccato, il 20ennale di “Melody A.M.” festeggiato lo scorso settembre avrebbe meritato un altro ritorno: mettiamo “The Ladder” e “How Flowers Grow” in un’ipotetica compilation dei migliori brani della band e andiamo avanti.
60/100
(Paolo Bardelli)