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Nell’“Isola del Tesoro”, capolavoro di R.L. Stevenson, il giovane protagonista Jim Hawkins guardava il mare stendersi davanti a sé, sognando avventure straordinarie lontano dalla locanda dove lavorava, il vecchio “Ammiraglio Benbow”. Il suo desiderio viene esaudito quando ritrova una vecchia mappa, e sarà proprio quella mappa che lo porterà ad imbarcarsi per mare con una ciurma di personaggi tanto indimenticabili quanto poco raccomandabili, alla famelica ricerca di un mitico tesoro sepolto in un’isola remota. Ora, sarebbe ironico e forse anche ingiusto immaginarsi due cinquantenni che ne hanno viste e passate tante come Thom Yorke e Jonny Greenwood come dei giovinastri dallo sguardo trasognato; eppure in loro c’è ancora quel luccichio che deriva dal piacere dell’avventura e della scoperta. Ecco quindi che l’ambigua figura dei “The Smile”, nuovo gruppo formato dal duo radioheadiano, dal batterista Tom Skinner – già dietro le pelli nel gruppo Sons Of Kemet – e dal fidato Nigel Godrich, assume per i due oxfordiani le vesti di nuovo viaggio iniziatico, di nuova prima volta. In “A Light For Attracting Attention”, album di debutto della band, il trio molla gli ormeggi, salpando alla ricerca di una personale isola acustica.
E nell’isola sonora dei The Smile a colpire sono i contrasti: troviamo colori accesi e smeraldini e buie profondità, una vegetazione acustica a tratti selvatica, a tratti lussureggiante; e si mescola tranquillamente la notte con il giorno. Le coordinate della bussola servono a poco: il piacere qui, sia per l’ascoltatore che per gli autori, è evidentemente quello di perdersi per poi ritrovarsi, in un atto di resa tanto giocoso quanto maturo. Si passa così dal carrilon elettronico di “The Same”, brano di apertura del disco dalla polpa evidentemente minimalista in cui chitarra, pianoforte e elettronica si rincorrono e si intrecciano senza tregua, alle ipnosi ritmiche dai caldi profumi dub e afrobeat di “The Smoke”, fino alle pulsazioni sibiline di “A Hairdryer”, in cui ritmica ossessiva e eleganti ricami chitarristici si intrecciano con squarci orchestrali – opera della London Contemporary Orchestra – e vocalizzi dai vaghi echi di musica indiana. Più ci si addentra tra i solchi dell’album, più cresce nell’ascoltatore la duplice sensazione tanto di vagare senza punti fermi, quanto di stare esplorando un unico territorio: fondamentale nel dare coesione a tutto il magma sonoro è il lavoro di Godrich – che figura qui anche come autore. Così, nella panoramica del disco paiono legati anche episodi che acusticamente non potrebbero essere più diversi, come la formidabile tripletta composta da “Speech Bubbles”, malinconica ballata dove su una leggera brina di synth si aprono toccanti varchi melodici per la voce di Yorke, gentilmente accompagnato da archi e arpa; brano a cui fa seguito “Thin Thing”, nervoso pezzo pulp in tempo dispari dominato dalle ruvide chitarre circolari di Greenwood e da un Thom Yorke forse mai cosi mellifluo; tripletta poi conclusa con la stasi sonora di “Open The Floodgates”, vera contemplazione astrale per pianoforte dai toni sognanti e lunari, con i fiati – la cui presenza è la sorpresa dell’album – che si sublimano nella trama dei synth sino ad elevarsi assieme a questi, indistinguibili.
Si potrebbero citare altri punti della rigogliosa mappa sonora di questo “A Light For Attracting Attention” e a farlo non si rischierebbe di certo, visto che, a parte qualche scivolone qua e là, la qualità dei brani è di buon valore. Ma quello che più preme, e che forse intriga maggiormente, è descrivere il sentore generale che questo album lascia una volta terminato l’ascolto: quella di un gruppo infuso di energia e voglia propria, cosa che se magari non emerge sempre dalle partiture, che anche del passato dei singoli membri della band tengono logicamente da conto, è però ravvisabile a livello istintuale. Una sensazione tanto di apertura quanto di arrendevolezza, di rinascita – e perché no, anche di leggerezza – per aver perso il controllo e incontrato una diversa libertà.
Si, ma i Radiohead? Ho circumnavigato la domanda fino a qui, ma una parola sul gruppo di Oxford va spesa, se non altro perché il disco si chiude con “Skrting On The Surface”, vecchio brano d’archivio proprio del quintetto, presentato live ma mai pubblicato. La versione degli Smile è dolceamara, pare fluttuare nell’aria grazie alla batteria delicata e ariosa di Tom Skinner e alle raffinate linee dei fiati e non può non far pensare ai Radiohead e al loro futuro. Perché Greenwood e Yorke hanno sentito la necessità di fare questo disco assieme? Pensandoci, mi vengono in mente le parole con le quali, sempre nell’ “Isola del Tesoro”, Stevenson saluta il suo personaggio più celebre, il lucidamente diabolico Long John Silver: “Quel formidabile pirata è uscito dalla mia vita…”. Ma in realtà la risposta a questa domanda non la sa nessuno: meglio quindi seguire il consiglio di Yorke, che in “Panavision”, un brano intriso di mistero pianistico e di singolari tensioni quasi da musical, canta “As it opens wide, forget everything you knew”…
78/100
(Edoardo Maggiolo)