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Angel Olsen ha viaggiato nel tempo, avanti e indietro, e ha deciso cosa vuole essere ma soprattutto come vuole esserlo. La cantautrice nata in Missouri ha affiancato la pubblicazione del suo nuovo album “Big Time” a quello di un film dallo stesso titolo e lungo poco meno di mezz’ora, e a mio parere è più giusto partire da lì per raccontare il momento attuale dell’artista, nell’attesa poi di tornarci su con la recensione vera e propria del disco.
“Big Time” il film è una necessità autobiografica di mettere un punto definitivo sulla propria identità e percorso di vita, quello che si era e quello che si sarà, ed è un film in cui si intrecciano i sentimenti filiali e di amore come compagn* di vita: la Olsen infatti l’anno scorso ha perso entrambi i genitori, a poca distanza l’uno dall’altro, e proprio nello stesso periodo – ad aprile 2021 – ha fatto coming out sulla sua omosessualità. Pare un segno del destino: il prima e il dopo che segnano una vita si intrufolano nello stesso periodo, si intrecciano e si intersecano, marcano indelebilmente un passato e un futuro. Ed è per questo che nel film la Olsen viaggia nel tempo, scende in ascensori opprimenti che la portano in campi aperti, cerca la sua compagn* Beau Thibodeaux, che nel cortometraggio interpreta se stessa, per prima perderla e poi ritrovarla. Ma soprattutto vede se stessa titubante, triste, disperata, nella vasca e l’annega, come ad annegare il passato e andare avanti.
Ma il senso più profondo del film è rappresentato dalla (vera) voce della mamma di Angel nei messaggi che le lasciava in segreteria, e la Olsen ha dichiarato che voleva in un certo modo fare qualcosa che potesse ricordarla. In un film onirico (la sceneggiatura, poi costruita dalla regista Kimberly Stuckwisch, si basa su veri sogni della Olsen) che lascia comunque in bocca un retrogusto positivo, di superare le difficoltà, di vivere le cose quotidiane, le parti con le telefonate della mamma sono invece un pugno al cuore, di sapore agrodolce. C’è infatti il rimpianto di non esserle stata vicina perché era sempre impegnata in tour ma allo stesso tempo questa circostanza viene rappresentata con rassegnazione, come un passaggio ineludibile. In un’intervista a Pitchfork la Olsen racconta che l’ultima cosa che sua madre ha visto è stata la sua esibizione con la Van Etten di “Like I Used To”: “mia madre era in ospizio a guardarci mentre ci esibivamo e faceva vedere la nostra perfomance in tv a tutte le infermiere… Penso che questo disco le sarebbe piaciuto molto. Amava la musica country, quindi sento che c’è una parte di lei in tutto questo”.
Il country. Ecco quindi il senso profondo del mood dell’album, il country come un ritorno a casa, però un comeback diverso: alla propria casa, quella costruita da sé, come si vuole, sopra le fondamenta di mamma e papà. Anche se la casa è diversa il modo per darle una musicalità di continuità si ritrova nella musica del passato, con delle rivisitazioni certo ma l’obiettivo è lì. Ma stiamo scivolando via verso la considerazione musicale del progetto “Big Time”, e quindi stiamo andando oltre. Per ora ci basta ripercorrere questo film intenso, sentito, un po’ confusionario ma intimamente voluto, da non giudicare con le lenti del critico cinematografico (si resterebbe un poco delusi) bensì quelli di uno spettatore che non giudica chi mette a nudo i propri sentimenti. Alla fine, insomma, viene voglia di abbracciarla, Angela, e di ringraziarla per aver voluto condividere con noi una parte così vulnerabile di sé.
(Paolo Bardelli)