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Sabato 18 Giugno in quel di Prato avrà luogo una serata organizzata da Disconnect e PHASE, due realtà che da anni portano avanti una proposta artistica variegata ma sempre legata alla sperimentazione e al mondo del clubbing. Ospiti della serata bod e Tryce, coppia di producer di origine cinese (il primo) e italiana (il secondo) che si alterneranno con i loro live set prima di reincontrarsi alla consolle per un DJset b2b, accompagnati anche dai set di DPK800 e Future Ago.
Per fare il punto della situazione a tre anni dall’ultimo evento organizzato insieme, ho incontrato Matteo Braccialini (Disconnect) e Jacopo Buono (PHASE) per parlare dello stato della musica elettronica, gli eventi dal vivo nell’Italia in uscita dalla crisi sanitaria e altro, in una bella chiaccherata innaffiata di gin tonic e illuminanti uscite non registrate e che ho cercato di riportare in questa trascrizione.
Raccontatemi come nasce questa serata e la voglia di collaborare di nuovo dopo tre anni.
Mah, in realtà è nata molto per caso. Ci siamo sentiti al telefono perchè c’era l’opportunità di portare bod, questo artista artista cinese che fa parte del network di artisti ai quali siamo sempre stati interessati. D’altronde parliamo di un artista che ha già uscite notevoli, tra le altre per Knives, Quantum Natives, Danse Noire, YEAR0001… insomma, non male. Ormai questa è il quinto evento che organizziamo insieme e con questi ospiti sembra di tornare ai tempi in cui portavamo in zona un mondo musicale che rappresentava il proprio tempo, una determinata era musicale. Il fatto che poi il primo evento Disconnect x PHASE fosse l’aftershow di ZULI con showcase di Haunter Records proprio al Centro Pecci di Prato sembra proprio di essere tornati al punto di partenza.
In ogni caso, ci saranno due live e tre dj set, abbiamo costruito una serata che fosse al livello che puoi trovare in giro fuori da queste zone e che non si sentiva da qualche anno in zona. In più ci sarà un atto performativo di PHASE, tra un live e un altro, che ancora è una sorpresa e probabilmente aprirà una nuova strada per il collettivo.
Sono pure passati tre anni dall’ultimo evento che avete organizzato insieme. Cosa pensate che sia cambiato nel frattempo nella ‘Firenze metropolitana’ musicale e nel mondo dell’elettronica, sia sperimentale che legata al clubbing?
M.B. Secondo me, anche se è strano da dire, il COVID è riuscito a fare un po’ di giusta pulizia nel mondo della musica e degli eventi. Mi spiego: gli improvvisati, quelli che non avevano nulla da dire o che lo facevano solo per fare soldi si sono trovati con un pugno di mosche in mano e hanno fatto altro, perchè i soldi non c’erano. Invece chi già da prima lo faceva perchè era qualcosa in cui credeva fortemente o mosso da una forte passione hanno tenuto duro e hanno continuato a fare le cose. Sembrerebbe anche avere meno disperso il pubblico, e aver messo alla gente più voglia di muoversi. Parlo a titolo personale, la mia rassegna <code> ha avuto numeri buonissimi, sempre sold out o quasi, con un grande afflusso extra cittadino a ogni data.
J.B. Potrebbe anche essere che però questa sia un’ondata che più torniamo alla normalità più potrebbe scemare; come diceva Matteo la partecipazione alla sua rassegna è stata molto alta e anche ai nostri eventi si è vista anche più gente di quanta ce ne fosse prima e soprattutto diversa, aiutata anche dal digiuno di eventi dato dalla pandemia. Tornando alla normalità, potrebbe essere che chi ora ha partecipato a eventi più di nicchia ritorni a passare la serata a bere e non a sentire la musica dal vivo. Speriamo di no.
E voi come state vivendo, a livello artistico e professionale, questo ritorno alla normalità?
J.B. Una crisi disarmante d’identità. Più siamo tornati alla normalità, più ci siamo chiesti come collettivo “vogliamo davvero tornare a fare quello che già facevamo prima?” Quindi come PHASE siamo stati fermi un anno a capire come comportarci, anche a pianificare progetti più grossi che però richiedono tempo. Poi stando fermi chiaramente qualcosa di ‘normale’ lo stiamo combinando, ma di sicuro in misura minore rispetto al passato. Non ho troppa voglia di occuparmi ancora di quello che facevamo nel 2019, mi sembra abbia poco senso.
E invece come vedete lo stato di questa musica elettronica oggi, nel 2022 post-COVID? A me sembra che ci sia un interesse molto più forte verso quello stile sia sperimentale che post-clubbing che abbiamo seguito per anno ma che in parte si sia trasformata in una corrente un po’ più da fruizione singola e meno collettiva, più astratta…
M.B. Lo penso anche io. Credo che quella scena stia virando verso un pop digitale, più che sperimentale astratta. Secondo me la pop musica interpretata in maniera digitale, decostruita in maniera contemporanea si sta spostando verso la cultura club e lo sta un po’ assorbendo. Si sta un po’ creando un ‘club sperimentale’.
J.B. A lato invece io noto molti musicisti che qualche anno fa si occupavano di decostruzione guardare un po’ indietro, e invece che incasellarsi un sound preciso ne ricercano uno più libero, anche facendo uso di strumenti acustici o elettrici che erano stati accantonati, più attenzione al performativo. Qualche anno fa dovevi suonare per forza alla stessa maniera, oggi invece sembra tu possa fare tutto. E in questo tutto sempre di più si stanno dedicando all’aspetto performativo, accantonando un po’ il computer. Finalmente vedo dei live più attivi, anche se è difficile. Questi live li devi saper fare, devi avere un certo background ed essere portato per la performance, e provare molto di più rispetto al portare le proprie produzioni sul palco. Apprezzo molto in ogni caso questa nuova attenzione al corpo, anche se spesso si vedono certi live performativi davvero pessimi. Sabato invece accadrà altro, ma questo non vuole essere un discorso su cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma la mia opinione su dove si sta dirigendo la musica e i rischi di fare buchi nell’acqua che sorgono.
Per riprendere le fila delle ultime domande, volevo confrontarmi con voi sulla crisi degli spazi per la musica dal vivo. Un problema già prima, ora molto più grande, soprattutto a Firenze che ha visto la scomparsa pressochè totale di club e luoghi per la musica live. Credete che forse un po’ per fare di necessità virtù un po’ per le nuove concezioni musicali si verranno a creare nuovi spazi di fruizioni ibridi?
M.B. Io mi sento fortunatissimo a poter proseguire la mia residenza in Sala Vanni a Firenze proponendo le rassegne di Disconnect, perchè è un luogo che per cornice e storia è davvero unico e si è creato un bel rapporto di continuità. Ma d’estate qui c’è un problema, perchè ti ritrovi in concorrenza con persone che suonano per due lire e gli spazi estivi offrono solamente budget da fame; se sei sopra il budget da djset dell’amico o del ragazzino che sta iniziando a mettere i dischi sei tagliato fuori. Io non credo che in questo contesto sia fattibile riuscire a creare uno spazio eventi a norma con tutta la burocrazia del caso. Falliresti dopo pochissimo.
J.B. Un altro problema di questa zona è da tempo la mancanza di spazi autogetiti, centri sociali che seguano lo spirito del tempo. Non ti viene data la libertà di proporre progetti sperimentali che garantirebbero anche una buona affluenza perché hè siamo un po’ rimasti a un’estetica ferma agli anni ’80 e ’90. E quindi, anche per il rifiuto di creare economie interne sostenibili, al posto dell’artista di Berlino siamo costretti all’ennesima riproposizione del gruppo post-punk di provincia e la scena muore lì. La risposta sarebbe l’unione di varie realtà già operanti sul territorio con la creazione di uno spazio dove già sai che una, due, tre volte la settimana c’è qualcosa che ti piace o ti può piacere, diventando un punto di riferimento. Poi certo, c’è politica e burocrazia da affrontare.
(Matteo Mannocci)