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Qualche recupero di fine primavera (viaggiando per il mondo!) in ambito indie-rock.
Horsegirl, “Versions Of Modern Performance” (Matador)
La prima tappa è Chicago dove troviamo le lanciatissime e altrettanto giovani Horsegirl che danno seguito ai tre – eccezionali – brani raccolti in “Ballroom Dance Scene et cetera” del 2020 con “Versions Of Modern Performance”. Già dal lancio di “Anti-Glory”, come commentavamo inter nos sui social, si ha l’impressione di ascoltare qualcosa di fresco, vitale e dal sapore di rinascita (almeno per un movimento davvero messo in ginocchio dalla pandemia). With a little help from their friends, John Agnello alla produzione e Lee Ranaldo e Steve Shelley dei Sonic Youth musicisti aggiunti in “Billy” e “Beautiful Song”. Grandi chitarre e una scrittura già adulta: non ci stufiamo mai troppo degli anni novanta però qui sono riproposti in modo assolutamente imperdibile.
Vintage Crop, “Kibitzer” (Upset!The Rhythm)
L’Australia è spesso tirata in ballo nelle nostre pagine, quindi stavolta arriviamo (in ritardo) sui Vintage Crop. Qui il mood è più scuro e fatto di giri ossessivi con il cantato al limite dello spoken word di Jack Cherry: David Thomas dei Pere Ubu tra i modelli di riferimento. Oltre l’evidente solidità della band, la psichedelia di “The Duke” e il kraut-rock di “Hold The Line” sono altri elementi che influenzano un giudizio lusinghiero su “Kibitzer”, quarto lavoro che esce a un anno e mezzo da “Serve To Serve Again”: mezzora di canzoni dirette e senza fronzoli ma che parlano della situazione politica mondiale in titoli quali “The Bloody War”. Registrato da Jasper Jolly in una sola session e missato dal “re mida” dell’indie-rock australe Mikey Young.
Tv Priest, “My Other People” (Sub Pop)
“My Other People” mantiene intenzionalmente un forte senso di emozione radicata in “Uppers”, sfruttando appieno l’opportunità di connettersi fisicamente: Charlie Drinkwater si è messo a creare testi che gli permettessero di articolare un senso più profondo di verità personale, usando la musica per comunicare con i compagni di band sulla sua salute mentale in esaurimento. La stessa intenzione di slancio viene portata avanti nell’artwork dell’album, una fotografia di Edward Thompson che raffigura due bambini che guardano il mare, in una scena sospesa tra malinconia e speranza. Il video di “One Easy Thing”, diretto da Joe Wheatley (“Decoration”, “Press Gang”) è un omaggio alla new wave e al cinema francese, con il cantante che indossa un’armatura medievale completa mentre sanguina e balla, perseverando nonostante le circostanze apparentemente impossibili. Una bella conferma per i londinesi che guadagnano in profondità.
Black Lizard, “Heads” (Fuzz Club)
Finiamo con un pò di riverbero: quarto album per la band finlandese, attiva dal 2008 e nelle grazie di Anton Newcombe e Sonic Boom. Su Fuzz Club quindi ci si può immaginare la collisione di diverse sonorità, dal garage rock di Black Rebel Motorcycle Club alle puramente visionarie degli artisti citati o di The Soundtracks Of Our Lives, ma un pizzico di sfrontatezza alla Primal Scream – prendete “Trash” – avvalora il risultato finale. Vantando un’attività senza soste dal vivo e apparizioni a importanti festival come il Great Escape, i Black Lizard sono Paltsa-Kai Salama (voce e chitarra), Joni Seppanen (chitarra), Lauri Lyttinen (basso) e Onni Nieminen (batteria).
Foto dei Tv Priest di Eva Pentel
Foto in Home delle Horsegirl di Cheryl Dunn