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Il titolo del nuovo album di Yaya Bey, forte imperativo categorico, morale ed esistenziale, Remember Your North Star potrebbe essere parafrasato in questi termini: Ricordati da dove vieni. Ricordati chi sei, perché sei al mondo e perché non puoi permettere a niente e a nessuno di distrarti dai tuoi obiettivi. Ricordati sempre delle tue radici e non lasciare che qualcuno provi a strappartele. Yaya Bey condensa questi diktat in un album che attraversa elegantemente hip-hop, soul, jazz e R&B e prova a raccontare cosa significhi essere una donna nera oggi. Bey lo fa muovendosi entro un piano narrativo conciso e coeso, cantando di relazioni ingombranti, di sesso e di dolore con uno sguardo attento e sempre lucido e acuto.
Remember Your North Star è a suo modo una “thesis” – così Yaya Bey ha descritto il suo album in una recente intervista rilasciata a Pitchfork –, una dimostrazione attraverso ritmi e note, una tesi (musicale) di laurea, un saggio che è anche un po’ romanzo sintetico e ampio, puntuale, che nel raccontare degli amori complicati e tossici che spesso una donna nera si trova a sperimentare descrive cosa implichi per una donna, e in particolare una donna nera, provare a sottrarsi o ancor di più a combattere la misoginia straripante che attraversa queste vicende, atteggiamenti prevaricatori e violenti che scavano un solco profondo nella psiche della donna e costruiscono traumi quasi impossibili da superare.
La part destruens del progetto, centrale e fondamentale, non è però tutto. Lo scopo e la vivacità del disco, infatti, stanno anche nella speranza di poter superare o esorcizzare questi drammi attraverso la storiastessa che una donna nera ha alle spalle, che è in primis quella del suo popolo, e attraverso la musica, vera arma di liberazione del corpo e dell’anima di chi ha la necessità di scappare e di sfuggire da situazioni complesse cui è fondamentale porre un freno. Remember Your North Star racconta di tutto questo in una serie di brani, molti dei quali prodotti e scritti interamente da Bey stessa, arguti e seducenti, interpretati da Bey in modo brillante e caratterizzati da narrazioni vivide e asciutte che contribuiscono a dare al disco una coesione interna particolarmente riuscita.
Successore di Madison Tapes, il suo LP di debutto, e dell’EP The Things I Can’t Take with Me, Remember Your North Star è il disco della maturità di Bey, oggi trentatreenne con base a Brooklyn, cantautrice sin da quando aveva nove anni e anche poetessa e visual artist. «I always wanted to perform my own words», aveva dichiarato in un’intervista rilasciata a Rolling Stone l’anno scorso, e Remember Your North Star è senza dubbio il progetto più riuscito della sua carriera proprio perché lo spirito e le idee di Bey trasudano da ogni singola nota, da ogni singola parola dell’album, dipingendo le paure, i problemi, gli ostacoli e i drammi che una donna nera sperimenta nel corso della sua vita. Un sound variegato e coraggioso incalza i racconti e la delivery di Bey: il risultato è quello di una dichiarazione di intenti e di poetica chiara e persuasiva.
La penna di Bey è tagliente e precisa. Canta con una sicurezza formidabile, trasformando la sua vulnerabilità in una corazza che le permette di assorbire i colpi subiti e di restituirli con gli interessi, smontando le insulse ragioni di chi continua a perpetrare un certo tipo di ingiustizie o di ingerenze nei confronti di ogni donna. «The pussy so, so good and you still don’t love me», canta in “keisha” con un’ironia sensuale e pungente, una spregiudicatezza tesa a demolire le certezze superbe e fasulle del suo interlocutore. «Ain’t I so impressive baby / Ain’t no second-guessing baby», ammonisce Bey nella incantevole “big daddy ya”, che mostra l’originale commistione di R&B e di hip-hop che l’autrice intende costruire. Pur riflettendo sul trauma, Bey non può non lasciarsi andare alla gioia più carnale e sincera, un festival di ritmi e di colori che si dipana dall’inizio alla fine del disco: si impara attraverso il dolore – pàthei màthos –, questo è certo, ma la catarsi deve spesso coincidere con una ragionata liberazione della mente e del corpo. «Don’t you wanna reset / You don’t wanna regret», canta impassibile Bey in “pour up”, brano che vede la partecipazione di DJ Nativesun: Bey sembra quasi sfidare il destinatario delle sue parole lasciandosi andare a un piacere sfrenato e allettante, che avvinghia, trascina e libera di ogni peso, fino a lasciare stremati e finalmente leggeri.
La thesis che Bey vuole presentare in Remember Your North Star è in ogni caso un percorso fortemente libero, sia dal punto di vista lirico che dal punto di vista musicale. La direzione entro cui Hadaiyah si muove è chiara sin dall’inizio, ma la strada per raggiungere la meta è sfaccettata e policroma. Nella conturbante “meet me in brooklyn” Bey ripete come un mantra «Tell me what I wanna know» con una voce rilassata e plastica, che sembra modellarsi al beat e al sample in background. La medesima consapevolezza dei propri mezzi e dei propri obiettivi pervade tutto il progetto. La fiducia con la quale Bey interpreta la scanzonata “don’t fucking call me”, ciondolante e fumosa, che sembra trascinarsi come un’ombra dietro la sua autrice, mostra una coscienza autoriale originale e profonda. Essa si rintraccia dappertutto, come nella naturalezza con la quale Bey interpreta la annebbiata e lo-fi “street fighter blues”, un R&B a tinte gospel frammentario e magnetico e ancora nella devozione ammaliatrice che abita la spirituale “blessings”. La capacità di narrare storie con piglio penetrante e al tempo stesso sfuggente è uno dei punti di forza di Bey, e le scelte musicali che effettua non sono meno vincenti e ambiziose. I diciotto brani di Remember Your North Star sono schegge selvagge che non lasciano indifferenti.
82/100
(Samuele Conficoni)