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Il Flow Festival è sostanzialmente sold out. Prevedibile, considerando che l’ultima edizione risale al 2019 e ciò che l’evento rappresenta per Helsinki. Si svolge a Suvilahti, una baia una volta destinata ad una centrale elettrica, con tanto di gazometro. È dagli anni ’80 che l’area viene usata per qualche evento culturale, ma è dal 2007 che la città ha deciso di trasformarla del tutto, farne il cuore che scandirà il battito culturale di una città che vuole cambiare. È l’anno in cui il Flow arriva a Suvilahti, il gazometro e le ciminiere diventano solo un’imponente coreografia che conferisce da sempre all’evento una surreale atmosfera post-industriale. Atmosfera che tra l’altro calza a pennello con la città, che incessantemente cerca di reinventarsi. Helsinki è un cantiere costante, nella sua architettura e nella sua essenza. Un mondo parallelo, per certi versi, dove è sostanzialmente normale che Sanna Marin e tante altre figure istituzionali partecipino ad un dibattito sul futuro della musica durante un evento del genere. Nemmeno provo ad immaginare un parallelo con il nostro Paese, farei fatica a fare tale esercizio di immaginazione anche solo a livello provinciale o locale.
Al di là della lineup, come sempre notevole, il Festival è vissuto come una festa di fine estate, e non esiste nessuno che viva questa stagione con il trasporto dei Paesi Nordici. Solo passando molto tempo ad Helsinki si può davvero osservare e capire la trasformazione a cui va incontro in questi mesi. È corta, qualche volta perfino un po’ piovosa, ma ha una cosa che in questo posto vale quasi quanto l’ossigeno: la luce.
La stagione sta finendo, ma di luce ce ne sarà fino a tardi lo stesso durante i tre giorni del Festival. Scegliere 7 artisti per presentare il festival non è stato facile. Ci saranno delle esclusioni d’onore, penso ai Gorillaz, a Burna Boy, a Michael Kiwanuka, ma ho voluto provare a diversificare, per provare a mostrare tutte le sfaccettature che il Flow offre.
Tanto sotto palco a fare il fanboy di Damon Albarn ci andrò lo stesso, non serviva specificarlo.
NICK CAVE & THE BAD SEEDS
Andava scelto qualcuno degli headliner, e onestamente la scelta non è stata nemmeno così difficile. Di Nick Cave si è già scritto e detto tutto, al limite qualcosa alla conversazione lo ha aggiunto la sua splendida newsletter. Parliamo di uno dei più grandi artisti viventi, con un catalogo talmente pieno di capolavori che qualcuno andrà comunque a casa deluso dalla scaletta. Questa versione dei Bad Seeds riesce a dare una dimensione nuova anche al repertorio delle incarnazioni precedenti della band. A tutto il resto ci penserà, come al solito, il carisma sovrannaturale dell’australiano.
CATERINA BARBIERI
Ho scelto Caterina Barbieri per rappresentare la parte più sperimentale e audace del Festival. Il suo nuovo album è un ennesimo monile messo al collo durante la sua prodigiosa carriera. È un disco nato dalla solitudine della pandemia, sarà stimolante vederlo prendere forma in un live, ovvero quanto di più distante dalle condizioni che hanno caratterizzato gli ultimi quasi tre anni. Sarà uno di quei set in cui si può fare una cosa soltanto: arrendersi al suono.
FREDDIE GIBBS
Volevo citare un rapper e sarebbe stato impossibile non scegliere Freddie Gibbs. Volevo trovare delle parole adatte, ma sarebbe stato impossibile fare meglio di quanto scritto un po’ di tempo fa su Vulture: “Listening to Freddie Gibbs rap is like watching a running back score a hundred-yard touchdown on a kickoff return”.
Uno dei flow più riconoscibili e versatili ed un repertorio che ha toccato vette dove in pochi non annaspano. Pochi utilizzano il gangsta-rap con così tanta classe, forse solo Freddie Gibbs con questa complessità e introspezione.
ERIKA DE CASIER
Chi non ha bisogno di un live un po’ più intimo durante un Festival? Erika de Casier prende l’R&B degli anni ’00 e lo sconvolge grazie al suo gusto e alla sua voce. Il suo secondo album, “Sensational”, è uno dei dischi con più classe e sofisticatezza usciti di recente. Bedroom pop è una definizione riduttiva, ma allo stesso tempo calzante. Il livello di comfort trasmesso potrebbe però davvero trasformare il concerto in una gigantesca e accogliente cameretta.
ALFA MIST
Capisco che l’hype sulla scena jazz londinese stia diventando insopportabile, ma che possiamo farci se davvero parliamo di una scena con talmente tanto talento che si fa fatica a starci appresso?
Alfa Mist non fa eccezione, con il suo nu-jazz estatico, malinconico, accogliente, ma tenuto assieme da un groove rapinoso. Tra fiati inebrianti e pattern ritmici fumanti sembrerà di rilassarsi in un vecchio bar accogliente. Non è un jazz necessariamente rivoluzionario, ma qualora scattasse la scintilla, è uno di quegli artisti da cui non si riesce più a staccarsi.
THE BLESSED MADONNA
Più di venti anni di carriera e almeno la metà di questi da autentica mattatrice della club scene. Si potrebbe citare il suo essere la prima DJ dell’anno eletta da Mixmag e già sarebbe una ragione valida per non perdersi il suo set (in sanguinosa sovrapposizione proprio con Alfa Mist). La nativa del Kentucky è unica nel suo eclettico approccio alla house music. Il suo album di debutto come producer, tra l’altro, dovrebbe essere quasi pronto, chissà che non ci sia qualche antipasto ad attenderci.
YEBOYAH
Caratteristica del Festival è la presenza di tantissimi artisti finlandesi. Non mentirò, ne conoscevo ben pochi e sostanzialmente nessuno in modo approfondito. Yeboyah è sicuramente quella che più mi ha intrigato.
Rebekka Kuukka, in arte Yeboyah, 24 anni, è qualcosa che non si è mai visto in Finlandia. È un momento in cui le minoranze etniche stanno finalmente facendo breccia nel mainstream della cultura popolare. Farebbe notizia in Italia, figurarsi in un Paese che fino a pochissimo tempo fa non aveva mai fatto i conti con la diversità. La rapper è diventata una voce potentissima con la sua critica alle strutture sociali che discriminano le donne e le minoranze.
Non solo Helsinki è una città che sta cambiando, sta proprio cambiando la gente che la abita. Il live di Yeboyah al Flow, dopo gli anni di stop a causa della pandemia, è uno di quei momenti in cui bisogna esserci.