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Sohn, Locomotiv Club, Bologna, domenica 18 settembre 2022
Lo ha detto chiaramente, sui social e nelle interviste: c’è stato un momento in cui Christopher Michael Taylor, in arte Sohn, non trovava la via, si sentiva distante, vuoto, creativamente spento. Cosa sia successo, quali demoni abbia affrontato non ci è dato saperlo, ma come dice in una bella intervista di poche settimane fa: “gli ultimi cinque anni, inclusa la pandemia, sono stati una specie di processo di assassinio dell’artista che ero prima”. Tre figli in cinque anni e un vuoto discografico che si faceva troppo grande: dopo il folgorante esordio di “Tremors” (2014) e la solida conferma di “Rennen” (2017) era arrivato un lungo periodo di silenzio, rotto finalmente da “Trust”, il 2 settembre di quest’anno. Poi il cambiamento, da Los Angeles alla Catalogna, due luoghi di sole, ma diversi e nel secondo, nel ritorno all’Europa (lui inglese e per diversi anni di casa a Vienna) c’è stato il ritrovamento dell’umanità. Lo avevamo lasciato anni fa, all’Anfiteatro del Venda, illuminato da un set tutto luci ed elettronica e lo ritroviamo, nella prima parte del concerto, cantautore, al Locomotiv Club di Bologna, che riapre la sua stagione al chiuso, con un live di grande intensità.
Cantautorato, dicevamo, come è sempre stato Sohn, solo che fino ad ora era più abituato a circondare la propria musica di strumentazione e strutturazione, mentre oggi pezzi estratti da “Trust”, terzo disco appena uscito, come “Riverbank”, ad esempio non sono quasi canzoni che avrebbe potuto scrivere il primo Bon Iver?
La prima parte del concerto è osservare quindi l’artista seduto, intento a suonare, cantare, rivelare l’anima del disco appena uscito, mettersi a nudo (non possiamo mai tornare indietro, canta, nella prima “Antigravity”), scoprire un lato intimista che fino ad ora si era rivelato con discrezione. Poi, quasi a sorpresa, dopo un mezz’ora, Sohn si alza in piedi, pare avere espiato il proprio percorso interiore e ritorna quello che avevamo conosciuto.
Oggi uomo, oggi adulto, oggi padre, si rimette al centro del palco, alza i battiti.
C’è l’elettronica, la ritmica, si scivola in momenti in cui è fragore sonoro (ma quanto è ingiustamente passata inosservata “Lessons” nel 2014?), c’è Sohn che canta al centro del palco, c’è Sohn seduto sul palco, c’è Sohn che canta a cappella, illuminato da una luce bianca mentre gli altri tre musicisti si fermano un attimo, in una completa oscurità.
C’è sul finale una bellissima “Rennen”, dal secondo album, dove come sempre canta più a sé stesso (oh, padre, oh madre, lasciatemi andare, canta in un duetto interno alla propria anima) e poi un finale vorticoso, pieno di passato, i brani più noti, le luci sul palco si colorano, si muovono, ricostruiscono quel vortice di elettronica elegantissima che avevamo lasciato all’Anfiteatro del Venda, anni fa.
C’è voluto quell’inizio e questo disco per riaccettare questo presente, il cambiare forma e il tornare se stessi e far rimanere in mente un misto di ritmiche elettroniche e di carezze folk di indubbia qualità.
Uscendo, una persona che si intende di musica dirà: meglio che su disco ed è una sensazione già riferita da molti, anche nei live precedenti, come se ad uscire nel disco fosse il musicista, mentre live si mostri l’uomo, spogliato e intenso, nel suo percorso artistico particolare, non mainstream, allo stesso tempo contemporaneo e futurista (ma cosa è “Lights & lessons” con una orchestra di 54 elementi?).
Il consiglio è semplice, la prossima volta non perdetelo.
(Alessio Falavena)
foto di Alessio Falavena