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Il decennio scorso l’indiesphere ha visto risorgere dai meandri degli anni Settanta la tendenza alla prolissità, in chiave, come ci si aspetta, decisamente ironica. Frutto un po’ dell’ossessione filo-intellettualistica di quegli anni e della cultura hipster, un po’ anche dello scontro con la popolarizzazione della trash culture, la proliferazione delle piattaforme, e così via. Ad esempio, se gli swinging sixties avevano avuto “Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict” da “Ummagumma” (1969) dei Pink Floyd, gli anni Dieci danno vita alla beffarda “You Might Think He Loves You For Your Money But I Know What He Really Loves You For It’s Your Brand New Leopard Skin Pillbox Hat”, la prima traccia da “Government Plates” (2013) dei Death Grips. Se questa tendenza possa essere legata a crisi economiche, inflazione o a un generalizzato sentimento di inquietudine è un quesito che cedo volentieri alla ricerca etnomusicologica.
Intanto, mi pare, fra i progetti che attraversano questa “categoria” trasversalmente e che appartengono a quel periodo abbiamo The Idler Wheel Is Wiser Than the Driver of the Screw and Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do (2012), quarto disco della cantautrice americana Fiona Apple che celebra quest’anno il suo decimo anniversario. The Idler Wheel, evidentemente, fa qualcosa che gli altri non fanno: è estremamente verboso ma senza risultare pedante e la sua virtù risiede nella capacità di prendersi sul serio. Niente di nuovo sotto al sole, considerando la sua parabola cantautoriale e i tre dischi precedenti, da Tidal (1996) a Extrordinary Machine (2008). Dopotutto, il titolo è preso da un poema ermetico scritto da Fiona stessa e le tematiche dei testi non sono tanto diverse dalla solita tiritera autodenigratoria. La sua unicità consiste nell’essere, in un certo senso, il suo lavoro più scarno. Allontanandosi da collaboratori di lunga data quali Jon Brion e Mike Elizondo, The Idler Wheel segna il punto di inizio di una ricerca incentrata sugli strumenti a percussione, accanto al batterista Charley Drayton. Il risultato è molto concrète, nel vero senso della parola. Nonostante la strumentazione utilizzata sia pressoché acustica, l’ambiente sonoro dei brani risulta sempre pieno perché arricchito da sprazzi definiti e precisi: ora è il battito smorzato di Apple in “Valentine”, ora il ritmo scandito dal carillon in “Every Single Night”.
Si capisce subito come The Idler Wheel sia un degno antecedente del più recente “Fetch The Bolt Cutters” (2020), soprattutto stilisticamente. L’impressione che se ne ricava è di star ascoltando qualcosa di “raffazzonato”, o meglio ancora “aggiustato”, un patchwork a brandelli che ricorda esteticamente una marionetta di legno di manifattura artigianale. Ogni suono è a sé e funziona per propria natura, proprio come i pezzi, magari racimolati da diversi marchingegni, di una bambola, ma decide di accordarsi infine con il resto della melodia, pur mantenendo la sua identità distinta. Concetto ben racchiuso nella copertina del disco che prevede una caricatura di Apple che si colora a chiazze e ha un agrume al posto di un occhio, o dalle canzoni che attingono spesso da ritmiche jazz-sincopate come quelle del ragtime o del doo wop. L’”idler-wheel” (o la “ruota folle” in italiano), dopotutto, non è che una rotellina che ha come unico scopo quello di trasmettere il movimento di rotazione e fare pressione sulla cinghia per mantenerla insegnata, collegando alberi di un meccanismo che non possono essere legati direttamente per incompatibilità delle parti. È più saggia del cacciavite, come recita la poesia nel titolo, perché non impone un funzionamento alle parti fissandole con un bullone ma le fa scorrere silenziosamente. Per quanto mi riguarda, dopo dieci anni, è un meccanismo che funziona ancora.
(Viviana D’Alessandro)