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Uno dei clichè più smentibili in musica è quello che vuole il power-pop un genere tipicamente americano: è assodato che senza la lezione dei Byrds, dei Big Star di Alex Chilton o dei Flaming Groovies non staremmo a parlarne oggi allo stesso modo ma esiste un sottobosco di gruppi meno conosciuti e comunque validi usciti tra anni settanta e ottanta da Londra, Sydney, Anversa, Torino…
The Boys sono uno di questi. Nati nel 1976 da una costola dei London SS di Mick Jones e degli Hollywood Brats (il gruppo glam preferito di Keith Moon) si affrancano inizialmente alla scena di Sex Pistols e Damned, vantando di essere all’epoca del debutto l’unica band punk con un contratto discografico. “I Don’t Care” e “First Time” – quest’ultima Single Of The Week per Sounds – permettono loro di entrare nelle classifiche inglesi e suonare da John Peel, oltre ad un tour con i Ramones organizzato per il lancio del secondo album “Alternative Chartbusters” (1977).
Nel 1979 il quintetto guidato da Matt Dangerfield (voce, chitarra) e il tastierista Casino Steel viene scritturato dalla Safari, filiale della Cherry Red, aprendo il proprio orizzonte sonoro a Bowie, Dylan e i New York Dolls. “To Hell With The Boys” è un disco rock’n’roll a 360 gradi fresco di ripubblicazione in vinile rosso dell’ottima Radiation, etichetta nonchè negozio indipendente romano. Dentro c’è di tutto di più: garage-folk modificato (“Lonely Cowboy”), improbabili jam tra Stranglers e Marc Bolan (“See Ya Later”), “Rue Morgue” – Cheap Trick? The Jam? no, The Boys! – e una “Kamikaze” che non è passata inascoltata ai Primal Scream di “2013”. Altra perla: il titolo del lavoro deriva semplicemente dal paesino norvegese in cui è stato registrato. Dulcis in fundo, partecipa John Mayall, testimonianza di un forte legame della band con l’R&B.
Stavo per inserire a chiosa dell’articolo il player spotify. E invece no, bisogna trovarlo alla vecchia, negozi, passaparola, ordini discogs; fatto questo il vostro impianto Hi-Fi vi ringrazierà sentitamente.
(Matteo Maioli)