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La seconda metà degli anni ’60 coincide con una intensa produzione di capolavori, trainata dalla proliferazione di dischi che non fanno che alzare l’asticella della qualità. Ad un certo punto è come se ogni formazione debba tirare fuori dal cilindro il suo “Sgt.- Pepper”, l’album della svolta, quello dove sperimentare composizioni e arrangiamenti complessi.
Una delle band che più di tutte, almeno inizialmente, riesce a testa ai successi dei Beatles e dei Beach Boys, specialmente negli USA, sono i Four Seasons di Frankie Valli (a cui nel 2014 Clint Eastwood ha dedicato il suo Jersey Boys). Ma il loro progetto più ambizioso arriva un po’ in ritardo rispetto agli altri: siamo nel Gennaio del 1969. Parliamo di “The Genuine Imitation Life Gazette”.
Il disco è un vero e proprio concept album; una raccolta, a volte cinica, a volte satirica ed amara sulla vita quotidiana americana. Qualcosa di simile a quello che avevano fatto in Inghilterra i Kinks di “Village Green Preservation Society” ma con un piglio più critico. All’interno sono affrontati temi molto diversi dalle storie d’amore che fino a quel momento avevano dominato nel repertorio della band. Ora i testi parlano di razzismo, divorzio, guerra. Da ciò deriva il titolo dell’album che anche materialmente, nell’edizione in vinile, appare come un quotidiano pieno di articoli (che in realtà si compone dei testi delle canzoni), vignette e persino pubblicità.
Sul piano musicale siamo alle prese con brani elaborati e sfarzosi. Possiamo dire tranquillamente che, sebbene non ne raggiunga i medesimi altissimi livelli, si tratta della cosa più simile a quello che avevano in mente Brian Wilson e Van Dyke Parks con Smile. Il disco si apre e si chiude con due pezzi di lunghezza notevole: “American Crucifixion Resurrection” e “Soul of a Woman” che si aggirano entrambi sui 7 minuti, con continui mutamenti di atmosfera e intricate armonie vocali. Troviamo poi una alternanza di up-beat come “Mrs. Stately’s Garden”, “Wall Street Village Day” o “Something’s On Her Mind”, che non avrebbe sfiugurato in Odissey & Oracle degli Zombies, e brani lenti come “Look Up Look Over”, “Saturday’s Father” e “Wonder What You’ll Be” con cambi dal sapore “bachiano” come nella miglior tradizione del pop barocco.
“Genuine Imitation Life”, la title track, rappresenta il cuore dell’intero album. Il brano ha consentito di ingaggiare il cantautore Jack Holmes come coautore di tutto il disco insieme Bob Gaudio. Holmes aveva pubblicato la canzone nel suo primo album del 1967, The Above Ground Sound of Jake Holmes, disco di folk psichedelico che contiene anche la famosa “Dazed & Confused”, poi rubata in modo molto scorretto dai Led Zeppelin (ma questa, naturalmente, è un’altra storia).
Paradossalmente il brano con meno sostanza dell’album è quella “Idaho” che fu fatta uscire come singolo, con risultati modesti. Il disco si rivelò in generale un mezzo flop, come lo fu d’altra parte lo stesso Pet Sounds, forse anche a causa di un pubblico americano molto meno sensibile rispetto ai britannici a questo tipo di sofisticatezze e sperimentazioni. La coppia Gaudio/Holmes continuerà però a collaborare per un progetto importante: li troviamo subito dopo alle prese con la scrittura e la produzione del celebre Watertown di Frank Sinatra, altro concept album che ha diviso i fan del crooner italo-americano per la sua particolarità.
Tornando alla copertina dell’Lp, vale la pena fare menzione del lavoro di Skip Williamson e Jay Lynch. La veste grafica interna della prima edizione si compone infatti una forma del tutto simile quella di una rivista con all’interno, oltre che vignette, come quella dei Beatles, in India, anche di un fumetto a colori e pubblicità che citano i titoli delle canzoni.
Nonostante i Four Seasons siano all’origine di un numero impressionante di cover (recentemente anche “Beggin’” dei Maneskin), in Italia non hanno quella popolarità che meriterebbero e Genuine Imitation Life Gazette è senza dubbio un piccolo capolavoro che andrebbe riscoperto e rivalutato.
(Eulalia Cambria)