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Counting Crows, Teatro Dal Verme di Milano, 7 ottobre 2022.
Ci sono concerti per cui compro il biglietto in maniera del tutto impulsiva. Perchè devo andare, non ci sono altre spiegazioni.
25 anni fa era stata a sentire i Counting Crows al Vega di Copenaghen, da studentessa in Erasmus. Erano gli anni in cui mi scioglievo ascoltando A long december o Round Here, sapevo a memoria il loro album di esordio August and everything after, e al concerto ci ero voluta andare a tutti i costi, da sola. In bici, ovviamente. Questi 7 ragazzoni californiani guidati da Adam Duritz e i suoi dreadlocks sapevano toccare le mie corde, con un rock un po’ malinconico, una musica orecchiabile e una voce pazzesca.
Per questo, appena ho saputo che tornavano in Italia dopo tanti anni (avevano aperto il concerto di Bruce Springsteen a Roma nel 2016) ho acquistato di impulso due biglietti per la tappa di Milano in programma in aprile, poi spostata al 7 ottobre al Teatro Dal Verme. ‘Tanto, qualcuno con cui andare lo trovo, tra figlio e amici vari a Milano, penso. Destino e imprevisti vari hanno invece voluto, di nuovo, che ci andassi da sola (praticamente regalando il biglietto extra ad un tipo fuori da teatro, che si sta ancora leccando i baffi).
Ma ho fatto proprio bene ad andare, ne è valsa la pena, eccome.
Il Teatro Dal Verme è meraviglioso: pieno di gente, pubblico adulto, direi Generazione X, quelli che negli anni ’90 non si stancavano di ballare sulle note di Mr. Jones. Alle 21 in punto Adam Duriz, frontman del gruppo, con molta semplicità entra sul palco, quasi nessuno lo riconosce: ci ringrazia per essere stati puntuali e ci presenta David Keenan, giovane cantautore irlandese, “il mio cantante preferito, ora sentirete perché”, dice Adam. In effetti David canta con un timbro potente, da pub irlandese, e con la sua chitarra e la faccia pulita si merita gli applausi del pubblico e scalda l’atmosfera.
Alle 21.40 salgono sul palco i Counting Crows: qualche dreadlocks in meno, qualche chilo in più, ma la voce è sempre quella. E che voce, ragazzi, che voce! Mi vengono i brividi subito, sin dalla prima canzone, Mrs. Potter’s Lullaby, seguita da If I Could Give All My Love e subito a ruota da Mr. Jones. “Oh, questa è l’unica che conosco”, esclama un ragazzo dietro di me. E in effetti questa la conoscono proprio tutti: a metà canzone l’intero teatro è in piedi a ballare sul posto, e l’energia che i musicisti sprigionano gli fa perdonare questa abitudine che hanno – un po’ fastidiosa, a dir la verità – di presentare dal vivo arrangiamenti piuttosto diversi rispetto alla versione in studio, soprattutto per quanto riguarda pezzi più noti.
Il concerto prosegue con una versione intensissima di Colorblind, poi Butterfly in Reverse: “questa ho ricominciato a farla solo perché la mia compagna ha insistito tanto, mi ha detto che se non la facevo ero una pussy“, confida Adam, che prende sempre più confidenza con il pubblico.
Il pezzo successivo, Omaha, uno dei miei preferiti, la cantiamo metà noi e metà lui, e andiamo dritti al cuore di metà concerto (“we go right to the heart of matters, it’s the heart that matters more”); dopo St. Robinson in His Cadillac Dream Adam intona una delle perle della loro discografia, Anna Begins: la canta e la recita, quasi come se fosse in un musical, con una passione intensa che incanta anche se stravolge la musicalità del pezzo nei miei ricordi, disorientandomi un po’. Ma comunque meravigliosa.
Adam ora è davvero a suo agio sul palco, in piena sintonia coi musicisti, ed è un piacere ascoltare i brani successivi, a me meno noti: Miami e due pezzi suonati in acustica, Blues Run the Game e God of Ocean Tides (e qui Adam racconta un aneddoto, svelando che qualche giorno prima, a Modena da un amico, avevano decisamente bevuto troppo vino e, quando avevano deciso di cantare questo brano completamente ubriachi, lui non ricordava più le parole e il chitarrista sbagliava gli accordi: “eravamo stati veramente fucking horrible, era terrorizzato che potesse capitarmi anche sul palco, invece per fortuna è venuta bene!”).
A questo punto l’intera band torna in scena e parte con l’ultimo album al completo, Butter Miracle suite one, una serie continua di 4 brani senza stacco l’un dall’altro: The Tall Grass, Elevator Boots, Angel of 14th Street e Bobby and the Rat‐Kings, che cantano in modo scanzonato, come un vecchio gruppo di amici che si ritrova a suonare dopo 20 anni.
Le ultime due canzoni del concerto “ufficiale” fanno alzare di nuovo tutti in piedi, perché affondano le radici in quegli anni ‘90 che li hanno consacrati al grande pubblico: Rain King, e qui si balla, e A Long December, e qui ci si commuove, ascoltando questa ballata suonata da Adam al pianoforte.
Anche lui sembra sinceramente commosso, quando riprende la parola: “dopo tanto tempo, e dopo la pandemia, non eravamo per niente sicuri che la gente sarebbe venuta ad ascoltarci: è bellissimo vedervi, grazie per essere qui!”, e regala un bis composto da un tris di super pezzi: Round Here, delicata e potente allo stesso tempo, Hanginaround, con la voglia di gironzolare e vivere la vita senza pensieri, e Holiday in Spain, davvero emozionante, perfetta per chiudere questo concerto.
La band, praticamente immutata negli anni, ha suonato veramente bene e merita di essere citata per intero: Jim Bogios (batteria), David Bryson (chitarra), Charlie Gillingham (tastiera), David Immerglück (chitarra), Millard Powers (basso), Dan Vickrey (chitarra). Il Teatro Dal Verme, con la sua acustica perfetta, ha sicuramente fatto la differenza; ma poi c’è questo frontman, Adam Duriz, che ha davvero una voce pazzesca e, al contrario di Sansone, pur avendo perso i suoi bellissimi dreadlocks non ha perso la sua forza, la sua passione e la voglia di emozionare. “Take care, statemi bene, torneremo!”, saluta Adam.
Stai tranquillo, ci saremo.
(Caterina Molari)