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Ammetto: l’idea di avventurarmi nell’approfondimento delle cover di “Popcorn” per la nostra rubrica Coverworld mi è venuta dall’ultima versione ascoltata, quella di Felipe Orjuela & La Nueva Estudiantina Electrónica (qui l’articolo pubblicato proprio oggi) che l’ha intitolata in spagnolo con traduzione giustamente fedele, “Palomitaz de Maíz”: una versione splendidamente libera tra “organetti, cumbia e psichedelia”, con qualche nota del famosissimo riff forse non precisa ma che probabilmente è una specie di firma.
E quindi partiamo con la storia di quello che forse è uno dei motivetti più conosciuti, anche se inconsciamente, da tutti, e che non può che iniziare dal Moog, ovvero il synth con cui è stata composta. La versione primigenia, opera di Gershon Kingsley, infatti è contenuta nell’album del musicista tedesco (naturalizzato americano) del 1969 che fin dal titolo – “Music to Moog By” – tradisce la volontà di essere un contenitore di pezzi scritti appositamente o riprogrammati (come ad esempio la cover di “Per Elisa” di Beethoven) sempre e solo con il sintetizzatore Moog, come valvola di ispirazione. L’invenzione di quel synth infatti aveva esaltato tutti quelli che volevano approcciare la musica elettronica, e il nostro Mannocci ha raccontato bene la storia di un’artista fondamentale che si dedicò ampiamente al Moog, ovvero Wendy Carlos, ma in quegli anni in tanti hanno voluto essere ispirati dai suoni sintetici e dagli inviluppi del Moog, anche i Doors, per dire (che lo utilizzarono in “Strange Days” ma non come tastiera bensì per trattare la voce di Morrison, il cui effetto è dunque opera dei filtri ).
L’album “Music to Moog By” è bellissimo in quanto equilibra una certa musica da colonna sonora di tipica matrice sixties con i suoni derivanti da questo nuovo complicato “giocattolino”: Kingsley infatti si muove facilmente tra le melodie soft ed evocative di canzoni come “Sheila” e “Sunset Sound” (ma sono gli Air?) e cavalcate più “esaltate” come “Hey Hey”. Meravigliose. Ma il suo colpo di genio fu proprio “Pop Corn” (scritta così con lo spazio), che è divertente sapere che è stata composta in 30 secondi (o 5 minuti, dicono altre fonti), a dimostrazione che i colpi di genio che possono farti cambiare la vita (e il portafoglio, ma non troppo come vedremo dopo) alle volte sono davvero estemporanei. Questa prima versione fa partire subito il riff, immediatamente, senza fischio e intro, e ha una chitarra elettrica stoppata sotto molto presente sotto un tempo shuttle.
Ma soprattutto questa versione differisce molto da quella più nota pubblicata dagli Hot Butter nel 1972: innanzitutto, ad ascoltare bene, il riff è diverso da quello che conosciamo e abbiamo sempre in testa, perché non ha l’ultima nota della frase, quella di appoggio. Se contate ogni nota, l’ottava (o la sedicesima nella risposta) sarebbe quella di chiusura della riga di melodia ma rimane in sospeso. Inoltre, la canzone non inizia con il classico fischio e non esiste la “parte b” o ritornello. Ma – attenzione! – tutte queste variazioni non sono merito degli Hot Butter bensì dello stesso Kingsley che ripubblicò “Pop Corn” nella versione diciamo “definitiva” come pezzo di apertura di un album proprio intitolato “Pop Corn” (1972) a nome Gershon Kingsley’s First Moog Quartet.
Il musicista infatti, dopo il suo album da solista del 1969, era partito in tour con i First Moog Quartet, girando per i college e le università degli Stati Uniti, e suonava “Pop Corn” come bis dei concerti. I First Moog Quartet divennero il primo gruppo a suonare musica elettronica alla Carnegie Hall il 30 gennaio 1970, con un’apparizione speciale di Robert Moog in persona, e nel 1971 eseguirono il Concerto for Moog con la Boston Pops Orchestra, per quartetto di sintetizzatori e orchestra sinfonica.
Ma con la versione del 1972 del Gershon Kingsley’s First Moog Quartet il successo non era ancora scattato.
La consacrazione definitiva di quella melodia infatti si ebbe solo quando Stan Free, uno dei musicisti che Kingsley aveva portato in tour come First Moog Quartet e che era rimasto impressionato per l’accoglienza del pubblico a quel pezzo, la reincise (senza lo spazio nel titolo come “Popcorn”) con il nuovo suo gruppo, gli Hot Butter, sempre nel 1972. In pratica gliela “fregò”. Kingsley non fu molto contento, e la reincisione da parte di Stan Free “creò molto malumore”, disse poi il musicista. Per certi versi non si capisce del perché del successo degli Hot Butter, visto che la versione non differisce da quella dei First Moog Quartet del ’72, ma in effetti fu registrata in maniera maggiormente asciutta e con suoni più definiti e puliti, trasmettendo per questa via un senso maggiore di elettronica. I risultati conseguirono all’intuizione, al lavoro e alla fortuna: infatti non fu solo Stan Free a capire il potenziale del brano ma anche Denny Jordan, responsabile marketing della Musicor, una piccola etichetta newyorkese. Sentì la canzone per caso ed, entusiasta, decise di pubblicarla come singolo chiedendo ad Arthur Talmadge, il capo della casa discografica, di aiutarlo. Talmadge coinvolse ingegneri del suono e arrangiatori, ma soprattutto chiamò Stan Free che per l’occasione formò gli Hot Butter con altri suoi amici John Abbot, Steve Jerome, Bill Jerome, Dave Mullaney e Tony Rodriguez. All’inizio nessuno si interessò nemmeno alla versione degli Hot Butter, finché – narra la leggenda – un amico di Talmadge non portò il disco in una discoteca di Parigi e iniziò così il passaparola. Il brano arrivò rapidamente al primo posto nelle classifiche tedesche vendendo oltre un milione di copie solo in quel Paese (questa circostanza denota quanto avanti fosse l’animo elettronico in quella nazione che aveva già evidentemente assimilato i primi due dischi dei Kraftwerk), e diventò il primo brano “elettronico” a sfondare nelle classifiche americane, raggiungendo il n. 9 della Billboard Pop Singles e il n. 4 della Adult Contemporary Chart, oltre a vendere bene in tutto il mondo, in Francia, nel Regno Unito (arrivò al 5° posto), in Australia e non si può elencare tutti i Paesi.
Giunti a questo punto è praticamente impossibile ripercorrere tutte le cover di “Popcorn”, a tal punto che è nato un sito apposta che le elenca tutte, Popcorn Song, ma proverò a suggerire l’ascolto di quelle che più mi hanno colpito.
Innanzitutto la band francese degli Anarchic System ne fece subito, nell’anno di grazia 1972, una versione cantata con tanto di testo, la prima in questo senso. La parte vocale è un po’ inquietante, ma nel complesso la versione non è male e si caratterizza per un inizio un po’ daltanius.
Like a pop-corn in your hand
is your castle made of sand
life goes up and life goes down
and life goes round and round and round.
Tanto per capirci, nel 1972 ne uscirono 82 (!!!) versioni di 82 artisti diversi, tra cui quella di Augusto Martelli, indimenticato compositore italiano diventato famoso negli anni Ottanta per la sua collaborazione con la Fininvest di Berlusconi, che ne sottolinea il lato pizzicato con strumenti non elettronici, e quella di un Fausto Papetti che ancora non aveva iniziato con le sue famosissime copertine un po’ lascive e che si butta, ovviamente, in una sua interpretazione con il sax.
Ma in Italia la versione che ha più successo in realtà è quella, sempre del 1972, de La Strana Società, una versione che si caratterizza soprattutto per un rullante molto presente, in quanto scelta come stacchetto musicale ne La Domenica Sportiva. Il che ci porta ad allargare il discorso agli altri ambiti in cui la canzone è stata utilizzata come sottofondo, colonne sonore, ecc. Tra questi ce ne sono due a cui sono molto legato: il primo è la musichetta del giochino Arcade SEGA del Pengo a cui hanno giocato tutti i bambini degli anni Ottanta, un pinguino che lanciava i blocchi di ghiaccio contro dei fantasmini mutuati evidentemente da Pacman:
La seconda invece è più recente, ed è una spassosa scena della s03e09 di “Better Call Saul“, una delle migliori serie degli ultimi anni, in cui Bob Odenkirk alias Jimmy costruisce la sua macchinazione contro la vecchia Irene che non ha accettato la liquidazione della Sandpiper, mettendo contro di lei le sue anziane amiche. La versione di BCS è quella molto suggestiva di Herb Alpert & The Tijuana Brass del 2005, in uno stile che sta tra il messicano e le comiche di Benny Hill.
(anzi tra gli utilizzi altri ci stavamo dimenticando della versione Muppets in cui The Swedish Chef balla in cucina e viene sommerso da una montagna di popcorn).
Tornando alla musica, un po’ diversa è la versione andina del 2009 dei Chica Libre, band newyorkese che, oltre all’utilizzo degli strumenti tipici, le conferisce un andamento fiero e coinvolgente anche nella parte cantata (da metà in poi), mentre The Des Bettany Trio ne fanno sempre nel 2009 una versione con le armoniche: una ciofeca.
E poi ci sono le versione elettroniche, quasi tutte quasi uguali alla versione Hot Butter (anche quella del 1972 di un giovane Jean Michel Jarre sotto in moniker di Pop Corn Orchestra, se non fosse per un diverso andamento da “banda del paese”), e tutte quelle da ballare in discoteca, tra cui non si può non citare la famosa, ma bruttissima e tamarra, versione Crazy Frog del 2005 (commercializzata anche come suoneria) e quella – pur sempre tamarra ma che ha dei bei suoni – di Steve Aoki del 2020.
Un’elencazione quasi infinita, dunque. Ma per chiudere questo excursus molto lungo ci era rimasto in sospeso un punto: si è arricchito Gershon Kingsley con “Pop Corn”? No: quando divenne famosa con gli Hot Butter, Kingsley si accorse di avere involontariamente già venduto metà dei diritti di pubblicazione della melodia. “Ci è voluto molto tempo per superarlo”, ha dichiarato in un’intervista alla Reuters del 2010.
Lo comprendiamo.
Gershon Kingsley è morto a New York il 10 dicembre 2019, alla veneranda età di 97 anni.
(Paolo Bardelli)