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L’album di cui vi parliamo appartiene a quel filone pop dei sixties dal carattere dolce e spensierato, spesso etichettato alternativamente “bubblegum” o “sunshine pop”; due termini in origine usati in modo dispregiativo da chi vi opponeva musica più seria e impegnata e con più alti obiettivi. Si tratta di una estremizzazione dei lati più frivoli del beat che in quegli anni sfornava uno dopo l’altro brani ad opera degli Ohio Express, Monkees, Archies e molti altri one-hit wonders. Come al solito, dietro le quinte agivano tuttavia sapienti produttori come il celebre duo Jerry Kasenetz e Jeffry Katz della newyorkese Buddha Records. Ma un altro centro importante era senza dubbio Los Angeles, dove troviamo all’opera il protagonista di questa storia: il talentuoso Gary Zekley.
Zekley era molto attivo come autore di singoli influenzati dalle sonorità dei Beach Boys (ad esempio “The Fun We Had” / “Don’t Be Gone Long” dei Ragamuffins del 1964). Collabora spesso con Jan & Dean per i quali scrive “Like A Summer Rain” e “The Restless Surfer”. La storia dei Yellow Ballon ha inizio proprio quando compone l’omonima canzone per il duo californiano che la incise nel 1967.
Gary era soddisfatto del suo brano, ma non del modo in cui Jan & Dean l’avevano registrato. Si convince così ad autoprodurre la propria versione usando turnisti di studio e pubblicandola con il moniker Yellow Ballon. L’arrangiamento è più sofisticato della versione precedente ed è pieno di armonie vocali e ottime orchestrazioni. Il singolo ottiene un discreto successo (si attesta al 25esimo posto della classifica di quell’anno) e l’etichetta Canterboury Records spinge affinché si formi una band per un album ed un tour. Viene coinvolto un volto celebre alla batteria, Don Grady, attore in una famosa serie televisiva del periodo (My Three Sons), insieme al cantante Alex Valdez, Frosty Green alle tastiere, Don Braucht al basso, e Paul Canella alla chitarra.
La band si chiude in studio e tira fuori una piccola perla del genere. Il tono è spensierato e solare. Brani come “How Can I Be Down”, “Stained Glass Window” e altri, sono splendidi esempi di pop barocco coniugato in chiave leggera. Ritmiche basate su accordi di clavicembalo, chitarre jangle, piani elettrici e sopratutto armonizzazioni vocali utilizzate in modo intelligente, andando spesso a riempire il brano gradualmente. L’apparente semplicità di “Good Feelin’ Time” nasconde un giro di basso veramente intrigante nel suo combinarsi in maniera originale con gli accordi principali. ”Junk Maker Shoppe“ chiude perfettamente l’album con un andatura leggermente più rock.
Alla sua uscita il disco non riesce a ottenere i risultati sperati e così la band si scioglie. Grady non abbandonerà subito la sua avventura in campo musicale, uscendosene di li a poco con dei singoli scritti di proprio pugno tra cui l’ottima “Leaving It Up To You”. Zekley continuerà la carriera di autore e produttore realizzando 45 giri interessanti e qualche successo come “Sooner or Later” dei Grass Roots del 1971 o “Superman” dei Clique del 1969, poi coverizzata dai REM.“Yellow Ballon” è stato ristampato su cd nel 1998 dalla Sundazed Records, con l’aggiunta di diverse bonus tracks, tra cui demo, interviste e i singoli di Don Grady.
(Eulalia Cambria)