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È stata citata nella recensione dell’ultimo album di Weyes Blood come una “musa” ispiratrice per Nathalie Merling, e oggi l’album più famoso di Carly Simon, “No Secrets“, compie 50 anni (uscì il 28 novembre 1972): due indizi non fanno una prova ma li prendiamo come “segno del destino” per un approfondimento sulla cantautrice newyorkese.
Carly Simon era un punto di riferimento femminile per quegli inizi di anni ’70 ma soprattutto, dopo essere caduta un po’ nel dimenticatoio, è stata “riscoperta” nel tempo contemporaneamente all’affermarsi – negli anni Dieci – di una serie di artiste aventi totalmente il controllo sulla loro produzione musicale: la sua antesignana autonomia musicale, il suo songwriting composito e orecchiabile, il suo lato emozionale unito a una grinta innata, il suo essere finemente a cavallo tra il soft-rock e il pop sono tutte caratteristiche fondamentali per spiegare la sua attualità e il perché della sua reprise: Taylor Swift è stata la più attiva in questo senso, avendola chiamata sul palco con lei nel 2013 a cantare “You’re So Vain” in una data sold-out a Foxborough, davanti a 55mila persone, nel suo Red Tour.
Ma la Simon è stata citata come modello anche da Tori Amos e Carly Rae Jepsen, e persino una giovanissima come Clairo le ha tributato un vero e proprio endorsement nello speciale “Women Shaping the Future” 2021 su Rolling Stone, un’edizione in cui la rivista musicale statunitense chiede a 12 tra i migliori artisti musicali odierni di parlare delle donne che li hanno maggiormente ispirati nella loro vita e carriera. Infine, Carly Simon – agli inizi di questo novembre 2022 – è stata inserita nella prestigiosa Roll Hall of Fame (assieme ad altri come Eminem, Duran Duran, Dolly Parton, Lionel Richie, Eurythmics, Judas Priest e Pat Benatar), e – non potendo sfortunatamente presenziare personalmente – è stata Olivia Rodrigo, che così facendo si è pertanto ascritta al club delle sue ammiratrici, che le ha dedicato una cover della onnipresente “You’re So Vain”. Canzone che, appunto, è in “No Secrets”.
Già i primi due dischi della Simon, usciti su un’etichetta importante come la Elektra che al tempo aveva nel suo roster artisti del calibro dei Doors, Stooges e Tim Buckley, avevano attirato l’attenzione ed erano arrivati in classifica Billboard, anche se non ai primissimi posti. La Simon non aveva fatto anticamera, era partita subito col botto. A parere del sottoscritto il primo, “Carly Simon” (febbraio 1971), è il migliore dei tre, ma soprattutto – al di là di qualche canzone di impronta country-folk (“One More Time”, “Alone”) avendo l’immancabile chitarra acustica come strumento principe – sono i brani dove il pianoforte è protagonista come il singolo “That’s the Way I’ve Always Heard It Should Be“, “The Best Thing” o “Just a Sinner” a risultare incredibilmente moderni: il suono pop del pianoforte (il padre di Carly era un pianista di musica classica) si fonde con accelerazioni elettriche che sono il retaggio dell’epoca hippie ma che sono in secondo piano rispetto a una perfezione formale complessiva che tende, se vogliamo esagerare, a certi barocchismi. Come non notare, nella poetica attuale di Weyes Blood, l’influenza determinante di canzoni come la bellissima “Another Door”?
Sempre nello stesso anno, e più precisamente nel novembre 1971, Carly Simon riesce pure a pubblicare un ulteriore album, “Anticipation”, e questa volta se ne va a registrarlo a Londra (il primo era stato registrato nella “sua” New York). Il sentore è più airy, lievemente psichedelico come se la Simon fosse più tra le nuvole che a terra, un album ascoltabile ma con un livello di scrittura dei pezzi minore rispetto all’esordio. Il risultato commerciale è però identico a “Carly Simon”, ovvero il raggiungimento del numero 30 nella classifica Billboard, e di fatto è una conferma.
E così si arriva a “No Secrets”: la Simon lo registra anche stavolta a Londra, una città che – dichiara in un’intervista televisiva reperibile su YouTube (e postata qui sotto) – “ama più di New York”, con una squadra “mista” americana-europea: il produttore è il newyorkese Richard Perry, che aveva un orecchio più pop rispetto ai produttori precedenti che erano di estrazione tipicamente rock (l’esordio era stato con Eddie Kramer che aveva lavorato prima coi Beatles, Kinks, Jimi Hendrix e Led Zeppelin, mentre il secondo album era con Paul Samwell-Smith, già bassista degli Yardbirds), avendo già prodotto artisti “radiofonici” come Barbra Streisand, le orchestrazioni dell’inglese Paul Buckmaster (che aveva orchestrato “Space Oddity” di Davide Bowie) e – soprattutto – il basso è del tedesco di stanza a Londra Klaus Voormann.
Voormann è un personaggio minore ma importante per quella scena: aveva all’attivo la copertina di “Revolver” dei Beatles come grafico ma anche l’esecuzione del basso su “Perfect Day” e “Satellite of Love” di Lou Reed: piuttosto eclettico, no? Una fantasia che Voormann dimostra anche con Carly Simon: è sua l’idea di quel riff iniziale di basso in “You’re So Vain”, riconoscibilissimo e allo stesso tempo strano. La genesi è controversa: nel documentario della BBC 2 “Classic Albums” del 2017 dedicato proprio a “No Secrets” Voorman dichiara che ascoltò bene il testo e siccome si parlava di un “vanitoso”, fece volutamente un’intro “che si faceva notare“, mentre Perry dice che Voorman stava solo scaldandosi le mani e fu lui che gli “intimò” di rifare quello che stava casualmente facendo. Quello che è certo è che in tanti gli hanno chiesto come ha fatto ha rendere quell’effetto, e lui ha semplicemente risposto che gli è venuto naturale perché ha le basi di studio di chitarra classica. Si torna ai fondamentali.
Ma se “You’re So Vain” è rimasta “immortale” è soprattutto per quel testo che si è portato dietro decenni di approvazione femminile: come terminare una storia d’amore? Scrollando le spalle ed essendo “spietate” con l’ex. “Sei entrato alla festa come se fossi arrivato su uno yacht”: colpito. “Sei così vanitoso che probabilmente pensi che questa canzone parli di te”: boom! Colpito e affondato! La “sciarpa arancione”, “un occhiata allo specchio” per controllare se è tutto a posto, tutto riporta a un uomo molto pieno di sé, che se vuole parte immediatamente con il suo aereo privato per andarsi a vedere un’eclissi di sole in Scozia, ma che si lascia indietro le persone che ama, o che meglio diceva di amare. Un “son of a gun“, che è un modo polite per dire “son of a bitch”.
Simon Carly risultò molto apprezzata proprio perché passionale e sincera, non era più tempo dell’amore libero e lei incarnava la consapevolezza di una monogamia finalmente paritetica e non sbilanciata ai “desideri maschili” (“Daddy, I’m no virgin / And I’ve already waited too long”, canta in “Waited So Long”), mentre le cronache la attestavano prima compagna di Cat Stevens e poi di Warren Beatty (a cui pare sia proprio “dedicata” “You’re So Vain”) fino al matrimonio, avvenuto qualche settimana prima dell’uscita di “No Secrets”, con James Taylor. E infatti proprio del “neo-marito” la Simon incluce in “No Secrets” anche una cover di “Night Owl”, rivoltandola come un calzino: se l’originale è un po’ loffia, la versione di Carly Simon è coinvolgente e dannatamente rock, e lei fa sfoggio anche di saper spingere nei registri vocali bassi.
Ma chiave del successo di “No Secrets” è certamente la produzione: cristallina, veramente radiofonica, da manuale del pop. Anche se il paragone risulta eccessivo, Perry fa lo stesso lavoro che ha fatto Butch Vig coi Nirvana: ripulisce, aumenta la brillantezza, inserisce una patina di eleganza lussuosa. E le collaborazioni fanno il resto: Mick Jagger fa le doppie voci su “You’re So Vain”, Paul e Linda McCartney su “Night Owl”. Carly Simon non era a Londra per niente.
Infine, il disco viene arricchito da una copertina che è una bellissima fotografia di Carly Simon scattata a Notting Hill, opera di Ed Caraeff, fotografo famoso per lo scatto di Jimi Hendrix mentre dà fuoco alla sua chitarra al Monterey Pop Festival del 1967. Caraeff la ritrae semplice, per strada, molto casual, a proprio agio nella sua nonchalance femminista (il non indossare il reggiseno nel 1972 era una chiara dichiarazione femminista). Il sito Carly Simon – Album Covers afferma: “Come dimostrano le altre foto (qui sotto), i due sono passati attraverso una serie di ambientazioni e cambi d’abito, alcuni dei quali facevano riferimento al primo singolo dell’album, con un cappello che poteva essere strategicamente immerso sotto un occhio e una sciarpa color albicocca. Alla fine della sessione, tuttavia, Caraeff non era convinto di aver terminato il lavoro. Perciò la seguì mentre tornava al Portobello Hotel, su Stanley Gardens a Notting Hill, e continuò a scattare per strada. Fu questa sessione improvvisata, non pianificata e tardiva, che alla fine portò allo scatto di copertina dell’album“.
Un disco che insomma ha tantissimo da raccontare, e che racchiude molte delle ragioni per cui Carly Simon è così citata come ispirazione oggigiorno. E se alle volte qualche sua melodia può risultare, a qualcuno, un po’ zuccherosa, basta ascoltarsi bene le progressioni armoniche di matrice beatlesiana di brani come la conclusiva “When You Close Your Eyes” per ricredersi immediatamente.
Un album che è l’incarnazione di vera passione, determinazione e autonomia musicale femminile.
(Paolo Bardelli)