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Alcatraz, Milano, 18 novembre 2022
A meno di due settimane dalla pubblicazione del loro settimo lavoro in studio, è tornata in Italia una delle pop band più ispirate e divertenti degli ultimi due decenni: i Phoenix. Per Thomas Mars e soci si trattava dell’unica tappa italiana del tour a supporto di “Alpha Zulu” (che abbiamo presentato con un’intervista esclusiva alla band), probabilmente il capitolo più danzereccio dell’intera discografia dei francesi, apparsi già parecchio in forma nei concerti estivi al Primavera Sound di Barcellona.
La risposta del pubblico meneghino è stata positiva, con un Alcatraz fermatosi a breve distanza dal tutto esaurito, cinque anni dopo l’ultima volta al Fabrique con l’opening act di Giorgio Poi, stavolta affidato ai Sons of Raphael. Poco dopo le 21, il live è iniziato sulle note di quello che, a distanza di tredici anni, rimane ancora il pezzo più popolare della band, “Lisztomania”, nonché opener del disco simbolo di un’intera discografia, l’inarrivabile “Wolfgang Amadeus Phoenix”. “Lisztomania” aveva inaugurato anche le scalette delle date estive, ma stavolta ha pagato qualche disagio tecnico che ha mandato Thomas Mars e il batterista Thomas Hedlund fuori tempo fino alla seconda strofa. Risolto il problema in cuffia, il live è deflagrato in maniera definitiva sui livelli qualitativi di sempre: “Entertainment!” e “Lasso”, impreziositi dai visual, per quanto non sempre presenti, ma decisamente caratteristici, hanno contribuito a suggerire un’atmosfera distesa e festaiola, con alcuni dei ritmi più celebri della band, a testimonianza del grado di consapevolezza e maturità raggiunto dai francesi, in grado di tenere viva l’attenzione anche con una scaletta infarcita di novità estratte da “Alpha Zulu”. Proprio la titletrack, arrivata fra due degli episodi più celebri del disco-omaggio all’Italia (“J-Boy”, “Ti Amo”), per quanto già rodata in sede live nelle date degli scorsi mesi, ha dimostrato una resa notevole, con un umore più rock e un sound più muscolare che non cela il suo afflato danzereccio.
Se “Alpha Zulu” ha rappresentato uno dei momenti più belli di tutti i cento minuti di live, anche “Artefact” e “Tonight” hanno funzionato decisamente bene: la prima ha segnato il momento di ripartenza dopo il consueto medley tra le due parti di “Love Like a Sunset”, con quel pop ultra-catchy ormai divenuto marchio di fabbrica della proposta della formazione di Versailles; la seconda ha dimostrato solidità anche senza Ezra Koenig dei Vampire Weekend, presente nella versione studio. Quello citato, comunque, non è stato l’unico medley: i Phoenix sono soliti presentarne diversi in scaletta e la data meneghina non ha fatto eccezione. Nulla ha coinvolto brani dell’ultimo disco: si trattava, in tutti i casi, di fusioni già ampiamente collaudate, come quella tra “Too Young” e “Girlfriend” o quella (sempre particolarmente efficace) tra “If I Ever Feel Better” e il finale di “Funky Squaredance”, su cui si è spenta una prima parte di live scorsa su livelli molto alti.
Il picco è coinciso con il loop dal gusto dance rock nel finale di “Rome”, fra mani al cielo e battiti di mani. Perfettamente a fuoco anche i brani più datati, come “Long Distance Call”, arrivata una manciata di minuti prima del solito ottimo reprise, inaugurato dal medley fra “Telefono” e “Fior di latte”, in una versione piuttosto intima con piano e voce e da quello fra “Drakkar Noir” e “Trying to Be Cool”. Il live è andato definitivamente in archivio con “Lovelife”, realizzata in compagnia di Giorgio Poi, apparentemente lì per caso, e la solita “1901”, che sembra fatta per chiudere i concerti. Sembrava la fine, ma Thomas Mars si è concesso un crowdsurfing mentre la band riprendeva la coda di “Identical”. I Phoenix hanno confermato un buonissimo stato di forma, regalando un live coinvolgente e gustoso impreziosito da una scaletta ricca, in cui pressoché tutti gli album sono stati degnamente rappresentati.
(Piergiuseppe Lippolis)