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Per festeggiare ufficialmente la sua ventesima edizione prevista per il 2020, Club To Club ha dovuto attendere due anni organizzando nel frattempo due edizioni interlocutorie, una performativa in streaming in venue inevitabilmente vuote e una relativamente low profile alle OGR. Due edizioni C0C che non hanno fatto che accrescere la voglia di normalità che a essere onesti in parte si respirava per fortuna già nell’ultima edizione. Ma a livello puramente simbolico, il ritorno al Lingotto che dal 2013 è progressivamente diventato centro ed epicentro del festival, ci ha riportato a tutti gli effetti nel presente. Anche se, a essere onesti, la serata di apertura alle OGR ci aveva ri-trascinato nella contemporaneità per motivi prettamente musicali grazie al trittico Aya, Lyra Pramuk e Arca, accolte da una platea a memoria mai così giovane e internazionale, una costante del weekend come testimoniano i dati degli accessi che parlano del 60% di pubblico under 30 da quasi 50 Paesi del mondo (qui tutte le foto di Andrea Pagano).
Arca è uno di quei talenti che se va bene ne nascono due o tre in una generazione e non lo scopriamo ora. Ancora una volta ha ridefinito il presente non solo come sonorità tra noise destrutturato, dembow e milioni di altre cose, con un set che ormai supera la dicotomia live/djset anticipando tutti i suoi omologhi non solo in ambito pop in una tendenza che come molti trend sempre anticipati e poi sospinti da Arca andrà probabilmente affermandosi nei prossimi anni. Le altre due hanno dimostrato che anche due nomi più “underground” persino in Italia in un contesto ben presentato possono esibirsi non solo per pochi intimi.
Il regalo più bello è stato sicuramente quello di riportare gli Autechre sul luogo del delitto dopo l’indelebile live al buio alle 4 del mattino dell’edizione 2016 che ha segnato l’inconscio e il subconscio di chi c’era. Questa volta alle 20:30 del day 1 è stata un’esperienza altrettanto impegnativa, appagante (in particolare la seconda metà di un set trascendentale) e a suo modo radicale.
C2C già da qualche anno ha fatto delle scelte radicali che l’hanno trasformato da “club to club” in un festival eterogeneo di respiro internazionale dove non è il percorso attraverso l’aumento dei bpm a portare il pubblico verso l’alba.
Per la prima volta si inizia già dalle 18:30, con i set delle dj/producer italiane Sara Berts e Stefania Vos nel main stage e, nell’altro stage,m di Elena Colombi cui è stato affidato l’arduo compito del reset dopo l’annichilimento collettivo generato dagli Autechre. Non si va mai oltre le 4:30 e i quattro set di chiusura nelle due room del Lingotto non sono stati certamente affidati a headliner in senso classico (vedi Bill Kouligas che ha fatto quello che gli pareva senza forzature) né regalati a dj e producer chiamati per sparare le ultime accelerazioni e far esaurire le energie dei presenti prima di qualche after in giro per la città: i misteriosi Two Shell di cui sentiremo molto parlare e si parla già molto con l’endorsement di YOUNG (già Young Turks), pur non conoscendone le generalità e le fattezze (un set molto cervellotico e intelligente) così come DJ Plead (sempre impeccabile), Romy ha fatto Romy così come il suo collega di the xx, ha fatto Jamie xx senza mai cedere troppo alla tentazione della caciara da classica big room.
In un festival in cui gli act più importanti e “mainstream” sono i Bicep, al debutto italiano (impreziosito da uno di quei classici visual di “genere”, d’altissimo impatto), lo stesso Jamie xx e Caribou (che gli si vuole dire?) e forse i Nu Genea (per quanto si sono conquistati con merito dopo tantissima gavetta e hanno curato Bar Mediterraneo nel palco Stone Island ospitando oltre a DJ Plead, anche Deena Abdelwahed e My Analogue Journal) sembra si voglia dare un’idea di normalità, non di esasperazione che poi si riflette in un clima mai inutilmente su di giri. Ci sono migliaia e migliaia di persone, ma l’esperienza è sempre tranquilla e come si dice in questi casi “safe”. Un aspetto che non dovremmo mai dare per scontato.
L’edizione del ventennale è l’efficace compromesso tra un festival per adulti con gusti giovani e un festival per giovani con gusti adulti. Qualcosa che in Italia difficilmente funzionerebbe in un contesto diverso da questo e in una città collocata geograficamente da qualche altra parte che ha costruito in maniera del tutto personale la sua dimensione musicale. Il maestro Kode9 è un classico per i seguaci del festival e celebra al meglio con uno dei suoi set migliori tra i tanti scolpiti nella storia di Club to Club. L’altro maestro, Jeff Mills, convocato a sold out già raggiunto e in una fascia oraria centrale non ha attratto al Lingotto persone interessate solo a lui e al suo, al solito, inarrestabile e incessante set dritto e senza particolari fronzoli.
Gli altri nomi rappresentano al meglio l’evoluzione eterogenea verso territori lontani dal dancefloor.
Durante il set irrefrenabile di Pa Salieu, venticinquenne astro nascente della scena black inglese, e quello del suo ideale contraltare dark-noise della line-up, Blackhaine, sembrava di essere in un’ideale dimensione apolide Non certamente l’Italia cui siamo abituati, una sensazione che si avvertiva bene già nel giovedì delle OGR e in parte respirata durante il set dell’italo-dominicana più famosa al mondo, Yendry, nuova stella “urbana” che vanta collaborazioni con J Balvin e segnalazioni importanti (su tutte Barack Obama e New York Times). I Jockstrap, uno dei nomi pop indipendenti del momento grazie all’acclamatissimo “I Love You Jennifer B”, hanno dimostrato come spesso basti davvero poco, e basti saper scrivere le canzoni, per catturare con gusto minimale ed eleganza una platea non necessariamente devota o consapevole, come se si fosse un nome navigato. Una lezione che tanti omologhi italiani dovrebbero apprendere con la giusta umiltà. E a tal proposito la menzione d’obbligo è per Caterina Barbieri che in ambito elettronico o avant in senso lato si conferma la migliore artista italiana degli ultimi anni e degli anni a venire e i 72-HOUR POST FIGHT che continuano il loro percorso di ibridazioni post-jazzy con il coraggio e la maturità dei veterani in uno dei due momenti “jazz” del weekend. L’altro è, in tema veterani, offerto dal batterista e compositore americano Makaya McCraven che ipnotizza anche lui in orario pre-serale i presenti, con una masterclass del genere davvero memorabile.
Avevamo bisogno di normalità e ne avremo bisogno per molti anni. E in questo senso sappiamo di poter contare ancora a lungo su C2C che ha già annunciato la sua prossima edizione, dal 2 al 5 novembre 2023.
Trovi tutte le foto di Andrea Pagano nel photo report completo.