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E così i Pixies sono arrivati ad aver pubblicato tanti dischi dopo la reunion quanti prima. È un’annotazione che hanno fatto tutti, certo, ma molto importante. Perché – al di là del giudizio critico di ciascuno degli album post-2014, anno di uscita del loro primo dopo essere tornati insieme – denota una pervicacia che deve essere data loro atto. E se i risultati arrivano ad essere come questo “Doggerel”, beh, ne valeva la pena.
“Doggerel” infatti non è un ritrovo di ex musicisti che suonacchiano rimembrando i vecchi tempi andati, ha focus, spinta, determinazione. Quella che Frank Black canta in “Dregs of the Wine” (And then it’s time to go / I said it’s time to go / Are we gonna make it? / We gotta face it | E poi è ora di andare / Ho detto che è ora di andare / Ce la faremo? / Dobbiamo affrontarlo). Non bisogna però pensare che abbia la freschezza di “Trompe Le Monde” a cui è stato da qualcuno accostato: i Pixies hanno una certa età e a mio parere quello che sfruttano meglio in questa prova è la loro capacità di scrivere belle canzoni, quel lato pop che tutti hanno saccheggiato agli inizi degli anni Novanta quando tutti avrebbero voluto avere la mano di Frank Black a scrivere le melodie, mentre qualche riserva la si può formulare circa l’impatto di “Doggerel”, alle volte un po’ piatto. Che poi forse non è nemmeno proprio colpa loro, più lo ascolto e più non capisco se è un problema di produzione (opera di Tom Dalgety): mi pare suoni meglio su supporti “poveri” (cellulari, casse bluetooth) piuttosto che in un impianto hi-fi e questo non ha senso (cioè, so che ha perfettamente senso nel 2022 ma non è quello che deve trasmettere la musica dei Pixies, anche oggi).
Ma ci sono i brani, quelli sì a ricordarci di chi abbiamo davanti: l’iniziale “Nomatterday” è sorprendente e se solo chi la suona avesse qualche anno in meno e ci pestasse maggiormente, potrebbe tremare la casa, “Who’s More Sorry Now?” ha uno dei più bei ritornelli dell’anno (forse perché mi ricorda un poco la mia canzone preferita loro, ovvero “Motorway To Roswell”), la titletrack ci mostra incredibilmente un Frank Black alle prese con un canto su registri bassi che pare Tom Waits, insomma, di gran qualità in “Doggerel” ce n’è, e nel complesso è un album che si ascolta proprio piacevolmente (sperando che “piacevolmente” sia un avverbio che possa essere letto in un’accezione positiva, visto che oramai è tutto è piacevole e nulla è bello). Allora diciamo che è più che piacevole, ecco, forse così va meglio. Io – peraltro – l’ho ascoltato davvero molto, se questo può essere un indizio di affezione a un disco (e lo è).
Per il resto, non dobbiamo pensare che siano i Pixies a rivoluzionare il mondo, oggi. Loro lo hanno già fatto.
70/100
(Paolo Bardelli)
03 novembre 2022