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Il tempo sembra non trascorrere mai per le (1) Ladytron: nonostante siano in pista fin dalla fine degli anni ’90, il loro suono non è cambiato. Tutto intorno a loro si è modificato, sgretolato, ricostruito, evoluto e riformato, e loro lì ferme, immobili (“come un semaforo”, diceva anni fa un memorabile Guzzanti-Prodi). Anche in questo loro settimo album infatti lo stile della band è rimasto immutato a quell’elettronica primitiva, grandiosa, tendente allo shoegaze, un linguaggio piuttosto personale che farebbe riconoscere il gruppo tra mille.
Ma evidentemente il tempo è anche un argomento a loro molto caro visto che hanno intitolato il loro ultimo album “Time’s Arrow”, ovvero la freccia del tempo che appunto, per definizione, sfreccia veloce. In realtà il titolo è preso un romanzo di Martin Amis (del 1991) in cui gli eventi accadono in ordine cronologico inverso: è il momento per le Ladytron di guardarsi indietro? Assolutamente no, è l’ora di essere sempre loro stesse.
Il combo di apertura “City of Angels” e “Faces” colpisce con melodie ispirate e andamenti psichedelici che mischiano – come sempre – il synthpop degli anni ’80 e l’eletroclash del decennio dai due zero e che fanno immediatamente capire che le Ladytron non hanno arretrato di un millimetro. Ma non sono le due migliori cartucce sparate subito: dopo il disco si snoda con qualche canzone meno memorabile ma arriva presto alla suggestiva e bellissima “We Never Went Away” dalla melodia semplice ed evocativa; è un ascolto che rapisce, ammiccante, sinuoso, con un ritornello talmente classico (nel senso di “senza tempo”) che affiancherei (come costruzione della melodia) a uno standard afroamericano come “Kumbaya”.
“Forse in questo album c’è più calore”, ha buttato lì Helen Marnie in una recente intervista, ma non è questo il punto (i panorami in “Time’s Arrow” sono come al solito piuttosto glaciali): quello che per le Ladytron è “calore” è piuttosto convinzione e precisione del proprio linguaggio, coerenza con il proprio percorso ed energia nel riproporre diverse varianti del loro gusto, tra tendenze cinematiche (“Sargasso Sea”) e più oscure (“California”).
“Time’s Arrow” non farà guadagnare il quartetto di Liverpool un fan in più, ma non ne farà perdere nemmeno uno. O forse non è nemmeno un’affermazione corretta: la perseveranza di suonare nel 2023 un’elettronica artigianale fatta più coi synth che col pc potrebbe far attirare su di loro la simpatia di qualche ragazzetto che guarda al futuro non scordandosi del passato. O, almeno si spera.
70/100
(Paolo Bardelli)
Note:
(1) Si è consapevoli che le Ladytron sono un quartetto che non è formato solo da donne, ma ormai l’immagine della band è, anche nelle foto promozionali del 2023, rappresentata dalle sole Helen Marnie e Mira Aroyo e, ragione fondamentale per il sottoscritto, “le Ladytron” suona meglio.