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A ottobre saranno dieci anni dalla morte di Lou Reed, mentre esattamente un mese fa si commemorava Kurt Cobain, suicidatosi all’inizio dell’aprile del ’94. C’è una canzone che indubbiamente unisce i due: “Here She Comes Now”. Da Reed scritta insieme a John Cale e Sterling Morrison e incisa dai Velvet Underground nel loro secondo LP in studio, White Light/White Heat, la canzone uscì all’inizio del ’68, quando Cobain aveva appena un anno. I Nirvana l’avrebbero registrata in studio – una sua incisione dell’aprile ’90 venne pubblicata in una compilation l’anno dopo e fu anche inserita nel box set With the Lights Out del 2006 – e l’avrebbero eseguita dal vivo una decina di volte tra ’90 e ’91. La rivisitazione violenta e travolgente dei Nirvana dello spettrale e irregolare pezzo di Reed, Cale e compagni, che peraltro entrò molto raramente nelle esibizioni live del gruppo, non è stata però l’unica, ed è interessante passare in rassegna alcune delle interpretazioni più convincenti e sorprendenti di quel brano, di cui qui sotto potete subito ascoltare una grezza versione demo.
La misteriosa e onirica versione originale
I Velvet Underground incidono “Here She Comes Now” nel settembre del ’67 e la pubblicano nel febbraio del ’68 come Lato B del singolo “White Light/White Heat” che dà il nome al disco appena uscito. “Here She Comes Now” è la canzone più corta di un disco che per larghi tratti è avanguardistico e sperimentale, coraggioso e complicato, e nonostante i suoi 2’04” anche questa ballata visionaria e forse un po’ romantica non si allontana da quel mood: una tempesta di chitarre brillantissime crea una cortina di fumo che si erge sopra una palude infida che è formata dalla voce appiccicosa di Reed e dall’apparato ritmico della batteria e del basso. Il testo è criptico, straniante e di difficile interpretazione, cosa che rende il brano ancor più frammentario e misterioso.
La rielaborazione quasi punk dei Nirvana
Come si è detto sopra, nel ’90 i Nirvana incidono una loro versione di “Here She Comes Now” in studio che viene inserita nella compilation Heaven & Hell: A Tribute to the Velvet Underground del ’91. La incideranno un’altra volta, sempre nel ’91, per un programma radiofonico, versione a oggi mai pubblicata ufficialmente, e la eseguono dal vivo alcune volte tra ’90 e ’91. Alcune di queste esecuzioni sono state pubblicate ufficialmente in box set e in album live. Le versioni di Cobain e soci sono reinterpretazioni in chiave grunge del pezzo, che essendo breve, ipnotico ed estremamente “duttile” nella sua forma originaria si presta a essere declinato in molti modi e in molte forme, e probabilmente è anche per questo che attrae non pochi artisti influenzati più o meno esplicitamente dai Velvet. Qui sotto potete ascoltare una esecuzione dal vivo del brano nel ’91 a New Haven, nel Connecticut, particolarmente coinvolgente ed efficace. La versione dei Nirvana allunga il pezzo, lo dilata e lo “percuote”, e ripetendo i versi più e più volte come una cantilena magica lo rende ossessivo e perturbante.
L’avvolgente slowcore dei Galaxie 500
“Here She Comes Now” incrocia anche le traiettorie del dream pop, che a tratti raggiunge lo slowcore e lo shoegaze, dei Galaxie 500. Siamo ancora nel ’90. Il brano venne originariamente pubblicato come Lato B del 12” di “Fourth of July”, singolo estratto da This Is Our Music e anche brano di apertura di quello che fu il terzo e ultimo LP in studio della band, che uscì nel settembre di quell’anno. Dal 1997 in poi tutte le ristampe dell’album contengono “Here She Comes Now” come bonus track. Non è un caso che a rielaborare il brano sia un gruppo a cavallo tra dream pop, slowcore e shoegaze e che ci si trovi ancora nel ’90. Se l’influenza dei Velvet Underground, infatti, non conosce limitazioni temporali e spaziali, è soprattutto a cavallo degli Anni Ottanta e Novanta, tra le tante rivoluzioni musicali in corso, che la band diviene sempre di più oggetto di culto e fonte d’ispirazione per tantissimi. Come si è detto, “Here She Comes Now”, nella versatilità, ambiguità e rapidità della sua versione originale, diviene un pezzo su cui altri possono costruire percorsi musicali personali e originali in cui dar spazio al proprio sound, sperimentando e modellandolo: lo scopo di entrambi i gruppi è proprio questo. La versione dei Galaxie è più lunga, dilatata ed alienante di quella proposta dai Nirvana: se Cobain e soci puntano su immediatezza e ruvidezza i Galaxie danno al brano una natura onirica e spaziale, a tratti quasi psichedelica.
Il puro ritmo o quasi dei Cabaret Voltaire
Chiudiamo questa piccola rassegna con la prima cover conosciuta di “Here She Comes Now”: a inciderla in studio furono i Cabaret Voltaire nel ’78, dieci anni dopo la pubblicazione ufficiale del pezzo da parte dei Velvet Underground. La band post-punk e industrial la inseriva nel suo EP d’esordio, Extended Play, insieme a tre brani autografi. Quella dei Cabaret Voltaire è una rielaborazione ostica e oscura, spiazzante e stratificata, che va a demolire ogni elemento pop del brano per farlo diventare una processione graffiante e disturbante scandita da un andamento totalizzante e marziale: la voce, completamente distorta e nebulosa, fa comprendere a malapena il testo, che diventa anch’esso puro ritmo, come avviene al brano intero.
(Samuele Conficoni)