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Il Sideways Festival segna l’apertura dell’estate ad Helsinki, un’anteprima della stagione che emerge ancora timidamente dal suo guscio. Nonostante le occasionali gocce di pioggia del primo giorno, è la luce che assume il controllo, illuminando la scena e creando un’atmosfera suggestiva.
Il mio Sideways Festival si apre con gli Algiers, un’esplosione di energia selvaggia che sembra superare le dimensioni del palco. Sarebbe magnifico vederli esibirsi in uno spazio che permetta loro di sprigionare tutto il loro potenziale e lasciare che la loro musica esploda liberamente.
Hania Rani appare nel mio percorso come una stella cadente che illumina il cielo notturno. La sua abilità cristallina al pianoforte è come un fiume scintillante, che scorre dolcemente e ci trascina in un viaggio incantato. È una danza di luci e ombre, creando un paesaggio sonoro ricco di sfumature e profondità. È stata la mia personale sorpresa del Festival.
Suzanne Ciani, con il suo amore appassionato e delicato per il Buchla, crea un mondo sonoro che è come un giardino segreto. Il suo tocco magico sullo straordinario sintetizzatore fa sorgere melodie che sono come fiori che sbocciano nel silenzio.
Silenzio rotto da Kali Malone, che ci avvolge come una nebbia avvolgente, immergendoci in un oceano sonoro profondo e misterioso. Le sue composizioni sono un viaggio nell’oscurità, dove le note si trasformano in sentieri inesplorati verso l’ignoto.
A scuotermi del tutto, ci pensano i Death Grips, come un incendio furioso che divampa sulla scena. La loro musica è una fiamma ardente che brucia con una potenza primitiva e distruttiva. Sono come un turbine di suoni distorti, una forza inarrestabile e ribelle. Sono una tempesta sonora che spezzerebbe ogni catena. Tutti i presenti non possono che fare una cosa: abbracciare il caos. Il live di Gaye Su Akyol, gemma nascosta della lineup, è stato un’esperienza straordinaria che ha saputo mescolare tradizione turca e contemporaneità. Grande presenza scenica, un manifesto di libertà.
L’unico headliner nel main stage che mi concedo sono i Phoenix, come un richiamo nostalgico alla mia adolescenza. “Lisztomania” è un pezzo di cui non mi libererò mai, probabilmente. Al contrario, c’è un altro headliner per cui davvero mi strappo le vesti. Fever Ray crea un’atmosfera surreale e magnetica, come un caleidoscopio di immagini disturbanti e affascinanti. La loro musica è come un labirinto oscuro e misterioso, dove ci si perde inesorabilmente.
Il live degli Irreversible Entanglements è, invece, tempesta spirituale che si scatena sul palco. La loro musica è come un rito sacro. Moor Mother, con il suo carisma unico, è come una sacerdotessa che ammalia il pubblico con le sue parole e il suo potere evocativo. È un incontro magico e privilegiato, che ci fa sentire parte di qualcosa di più grande. Sullo stesso palco, Billy Woods porta il rap vecchia scuola come un pugno che si abbatte sulla coscienza, senza bisogno di preregistrazioni o artifici. Il suo live è come un’immersione in un sotterraneo oscuro, dove la musica fluisce in modo diretto e senza fronzoli, autentica e cruda.
Chiudo il mio festival con i The Comet Is Coming, una galassia in espansione che travolge Helsinki. La loro musica è un turbinio di suoni e ritmo, un filo conduttore tra i Can, Sun-Ra e tutta la scena contemporanea di UK Jazz. Un giorno analizzeremo a fondo la legacy di Shabaka Hutchings, e il mondo si dividerà in quelli che c’erano e quelli che si sono persi questo incantesimo.