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Terraforma arriva alla sua ottava edizione in un momento cruciale e simbolico del suo percorso che chiude nel 2023 il suo primo decennio di vita. Dal 2014, sembra ieri, a oggi sono cambiate molte cose, ma l’evento più noto e importante di Threes Productions, ha sempre conversato il suo fascino grazie a una line up incline all’elettronica, all’avanguardia e al clubbing di ricerca nell’accezione più ampia possibile e trans-generazionale e un approccio eco-sostenibile a livello logistico, architettonico e visuale di cui è stato pioniere.
Una forte identità visiva e concettuale a dispetto di generi e artisti geograficamente e culturalmente molto distanti tra loro ha avuto come riflesso la formazione di un pubblico ben definito: ricercato, internazionale, non sopra le righe a livello comportamentale e generalmente molto rilassato e rispettoso, mai troppo esteso numericamente. Ciò fino alla complicata edizione 2022 del ritorno post-pandemia dove un afflusso inatteso, in parte legato alla frenetica attesa dopo due anni di stop e in parte alla presenza di un act come gli Autechre che abbraccia fette di pubblico inedite per il Terraforma, un po’ come lo era stato Jeff Mills, con l’unica differenza che quest’ultimo si è esibito molto più frequentemente nella Penisola. Il merito del Terraforma è stato quello di diventare antonomasia essere un evento gigante: da un decennio a chi è dentro questo tipo di appuntamenti sarà sicuramente sfuggita qualche espressione del tipo “situazione molto Terraforma” o “pubblico un po’ Terraforma”, spesso a prescindere dalle line up. È raro imbattersi in un festival dove in un pubblico di meno di tremila persone al giorno ci siano diversi presenti che non conoscono nemmeno un nome in line up e si affidino a un festival non gratuito per scoprire novità o qualcosa di cui non si era assolutamente a conoscenza perché affascinati o incuriositi semplicemente dall’esperienza.
Lo scenario con pochi eguali di Villa Arconati, con il suo giardino, il suo bosco e il labirinto che ha ospitato alcuni dei live più memorabili della storia di Terraforma tra cui, in questa edizione, quello di due guru di due filoni e origini molto diverse – ma entrambi, come si evocava, molto Terraforma quali Actress e Thomas Ankersmit – è senz’altro uno dei valori aggiunti, come lo sono sempre i luoghi nelle produzioni di Threes.
In una successione di nomi sempre eterogenea dai resident italiani del festival (gli immancabili Paquita Gordon, Donato Dozzy e Marco Shuttle) a uno dei guru di alcune delle migliori produzioni mainstream degli anni Dieci come Hudson Mohawke che ha saputo spaziare da avanguardie e introspezioni più rarefatte (i tandem Beatrice Dillon & Kuljiit Bhamra, Patrick Belaga & Tapiwa Svosve o Lamin Fofana e i Dawuna) a sfoghi dancehall (Tikiman + Scion e Low Jack b2b Still) passando per pause mistiche dal retrogusto spirituale come quella del collettivo sufi nord-marocchino The Master Musicians of Jajouka, resteranno scolpiti nella memoria gli infuocati di set di un altro tandem che ha poco badato a compromessi, come Shackleton e Scotch Rolex, della regina del dancefloor made in UK Josey Rebelle, pur votata più del solito alla cassa dritta più schietta e sincera, e uno straripante Batu che ha messo tutti a letto alle tre del mattino svuotando i presenti di ogni ulteriore energia ed esigenza. All’esordio assoluto e sul palco principale, Dr. Pit (ovvero Matteo Pit, già Primitive Art e direttore artistico di Club Adriatico) al fianco della voce e le composizioni di Lolina (già parte di Hype Williams con Dean Blunt e nota come Inga Copeland) ha offerto un’inedita parentesi post-dub noir e ai confini del trip hop, piacevolmente eccentrica in un orario così pomeridiano e di cui siamo certi di voler seguire gli sviluppi. Deena Abdelwahed e Upsammy nel secondo stage, il Vaia, in orari molto diversi e con bpm e approcci radicali nella loro diversità hanno arricchito a modo loro con momenti da clubbing più spigoloso e destrutturato, un menù già molto ricco ed eterogeneo. Ricco ed eterogeneo, quanto quello dell’area food che con prezzi di poco superiori al junk food presente in ogni festival italiano offre una scelta di rara qualità rispetto agli standard. Così come i diversi distributori gratuiti di acqua filtrata in parte come risposta alle critiche sulle file dello scorso anno, hanno costituito un importante upgrade per godere a pieno di un festival all’aperto con un programma che dallo yoga e i talk della tarda mattinata si inoltra fino a notte fonda. Nulla è lasciato al caso e la percezione di trovarsi sempre in una situazione “safe” a 360 gradi ci ha fatto tornare a quella situazione da Terraforma cui gli spettatori più abituali erano stati abituati.
Soffermarsi solo sulla line-up, del resto, in un’edizione che arriva in un periodo diverso dalle ultime edizioni e più vicino alle prime, con in concomitanza un altro evento musicalmente affine in qualche suon nome sempre a Milano, sarebbe una prospettiva parziale. Il Terraforma aveva bisogno di recuperare quella dimensione e quella magia che i problemi logistici dello scorso anno avevano in parte offuscato la qualità degli act. E da questo punto vista, l’edizione è stata magica, forse davvero una delle più memorabili di questa piccola storia di successo invidiata in molte parti d’Italia e d’Europa.
Non è ancora certo che questa storia possa proseguire nello stesso contesto attuale, ma se dovesse continuare altrove, il consiglio è quello di prenotare a scatola chiusa per una nuova esperienza altrettanto Terraforma.