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Ognuno di noi ha, come si direbbe ora più che mai, in questa controversa epoca di eccessi, dondolante tra il consumismo più violento, sfrenato e la calma e dolce riscoperta della propria spiritualità interiore, tra eserciti di influencer e santoni della meditazione, un proprio, scintillante, indiscusso, spirito guida. Una figura carismatica, che ha, senza nemmeno volerlo, influenzato in qualche modo le nostre vite. Non importa il settore o il luogo da dove venga. Può essere un attore, un artista figurativo, un cantante, uno scrittore. Immaginate di non poter vedere, a causa di tanti motivi (una crisi motivazionale di questa persona, la pandemia, il caso) questo vostro “idolo” per molti anni. È un pomeriggio calmissimo di fine giugno e voi siete al lavoro. Improvvisamente, durante una pausa, mentre state scrollando i vari social, sullo schermo del telefono compare l’annuncio che il vostro “totem” sarà in Italia. All’inizio non ci credete, pensate addirittura a un brutto scherzo o a un meme. Anche perché ricordate praticamente a memoria la lista delle date e dei posti che ha deciso di toccare. E l’Italia, nel mezzo di tutti gli appuntamenti non era proprio contemplata. Tanto che se non fosse stato per gli impegni di lavoro avevate anche preso in considerazione la possibilità di andare a vederlo all’estero.
Invece incredibilmente è successo. Sarà in Italia. Ed è andata proprio così questa volta. Il contesto è la rassegna musicale La Prima Estate, in Toscana, in quel di Lido di Camaiore. L’artista in questione invece è Lana Del Rey. Una macchina organizzativa quella del festival toscano, tra non poche polemiche miste a consensi, che in due settimane di concerti è riuscita a portare artisti di alto livello come Nas, Noyz Narcos, Bon Iver, Kings of Convenience, Alt-J, Chet Faker, Jamiroquai, Nu Genea, Metro Boomin, ecc. Giunti alla seconda edizione l’appuntamento pecca forse un po’ di superbia, puntando a diventare nel tempo uno tra i festival estivi italiani più importanti, rischiando però il passo più lungo della gamba (come ad esempio nella gestione di un altissimo numero di affluenze).
Immaginate quindi l’evento arrivato alla sua conclusione. Il successo di pubblico e presenze è stato tale che si decide quasi dal nulla di aggiungere un nuovo appuntamento la settimana successiva, inedito e inatteso, non previsto. Merito appunto anche l’annuncio epocale, e a dire di molti irripetibile, che l’artista Lana Del Rey ha deciso di fare tappa proprio lì. Voi siete immobili, sul vostro posto di lavoro, lo avete appena scoperto, con una settimana di preavviso e ora avete poco meno di sette giorni per potervi organizzare. Le fanpage e i canali Telegram esplodono. E la dice lunga anche il commento con più di un migliaio di like sotto al post di annuncio dell’account Instagram del Festival: “Siamo sicuri che Lana lo sappia?”. Chi cerca passaggi, chi propone navette e spostamenti in gruppo, chi noleggia auto per l’occasione. In un brevissimo lasso di tempo i biglietti per la zona PIT sono esauriti. Non si arriva al sold out, ma le fonti ufficiali sono chiare: lì in mezzo, al Parco BussolaDomani, siamo in 17.000. Ad aprire il concerto due spalle piuttosto indovinate: Laila Al Habash e Maria Antonietta. Entrambe, apparse sulla scena italiana in momenti molto diversi, si presentano con modalità simili – in solitaria davanti al pubblico -, ma hanno storie ben distinte: la prima più giovane e influenzata da pop ballad più contemporanee, la seconda con una storia più lunga e decisa. Lana invece, è bene dirlo, veniva da un concerto decisamente problematico al Glastonbury, in cui tante cose non avevano funzionato. Un ritardo nell’ingresso sul palco, a causa di un problema con la preparazione estetica – precisamente la pettinatura dei capelli – aveva spostato l’orario di inizio. Lana Del Rey era stata costretta a terminare quindi prima il proprio concerto, avendo sforato con i tempi, tanto che si è ritrovata a dover concludere l’ultima canzone insieme e grazie al pubblico, a causa dei microfoni che erano stati spenti dagli organizzatori. La performance, iniziata con trenta minuti di ritardo, si era conclusa con Lana invitata dalla sicurezza a lasciare il palco, proprio perché uscita dal tempo massimo consentito. In Inghilterra, si sa, sono inamovibili sugli orari. Ed ora eccola lì, in una specie di idillio da dolce vita italiana, così consono al suo mood che tanto bene conosciamo, a fare il suo ingresso tra luci verdi e d’oro, in un palco colmo di specchi e un set di archi in sottofondo da soundtrack hollywoodiana, come ci si trovasse in quel momento più in un film musicato da Vangelis che a un concerto in un parco in una notte di quasi mezza estate. Quindi un po’ strappa un sorriso il gesto di Lana, mentre canta, che si siede e si lascia preparare e pettinare dal corpo di ballo, quasi fosse – e a dire di molti pare proprio sia così – una diretta provocazione alla brutta esperienza appena passata al Glanstonbury. Lei, si percepisce dalla sua naturalezza e disinvoltura, è proprio felice di essere in quel posto, proprio in quel momento. Ed è così bello vederla finalmente soddisfatta di ciò che sta accendendo, dopo tanti anni passati a dichiarare nelle interviste, la sua totale mancanza motivazionale e l’insidiosa trappola della noia nel suo lavoro. Tanti i sorrisi che si intravedono dai maxi schermi e che lancia al suo pubblico, nonostante la ressa impedisca quasi di guardare. Un live lungo, intenso, curato nel minimo dettaglio e in tutti i suoi aspetti. Pochissime le sbavature, probabilmente dovute anche all’imponente mole di pubblico e al limite che spazi vasti come quelli hanno sempre e ogni volta.
«Questo è uno dei posti più incredibili dove abbia mai cantato», dice Lana dal palco, e continua «sono così contenta di essere qui con voi, accanto al mare».
E in effetti, nonostante l’ira di molti e le proteste dei tanti fan per il pochissimo preavviso, il festival parrebbe funzionare. È lo stesso Erlend Øye, dei Kings of Convenience, a dirlo proprio sul palco dell’evento, calcato soltanto due settimane prima (da una sua canzone, tra l’altro, la manifestazione stessa aveva preso spunto per darsi il nome): «È bellissimo suonare in Italia, a un Festival che funziona così bene». Forse ha ragione Erlend o forse no. I limiti sono molti: a cominciare dalla visuale molto scarsa (anche dei maxi schermi), la non ottimale gestione della zona PIT, la qualità audio che calava disperatamente man mano che ci si allontanava dal palco. Noi quindi ci riserviamo di dare il beneficio del dubbio, memori del fatto che per crescere ci vuole sempre tempo e tanta, tantissima pazienza. Roma non è stata costruita in un giorno.
Al di là di questo però adesso siamo qui ed è impossibile non godersi il momento. Non ci si riesce proprio a non restare in silenzio (e in totale estasi, se si è fan come i tanti fan che si possono osservare intorno) di fronte a Lana Del Rey, e al team di più che valenti musicisti e ballerini attorno a lei. Diversi i regali al suo pubblico, tra cui una timida intonazione di “Salvatore”, che ascoltata cantata da lei in Italia, fa tutto un altro effetto. Un’artista che ha saputo ribaltare, nelle lente conferme del tempo, anche l’opinione della critica. Memorabile per esempio il post di qualche settimana fa di Pitchfork, come si sa testata importante e rinomata per la propria severità e le prese di posizione decise, in cui, in occasione dell’anniversario dell’uscita del primo disco “Born to die”, ha affermato che se potesse cambierebbe il voto assegnato al suddetto album – “If we could, we’d change the score we originally gave Lana Del Rey’s Born to Die” – che all’epoca della sua uscita e quindi del suo esordio, vide Lana tacciata di essere costruita a tavolino e definita quasi all’unanimità un’impostora quasi totalmente incapace, in una sorta di gogna mediatica collettiva. Un po’ di verità in quello che dicevano gli addetti ai lavori su di lei forse a quei tempi c’era. Impossibile dimenticare i tanti meme usciti all’epoca della sua performance al SNL. Quando, oltre che a molte stonature, il pubblico ebbe modo di vedere una giovane donna impacciata e in difficoltà. Tanta acqua è passata però sotto i ponti e la nostra, oltre ad aver inanellato una dopo l’altra innumerevoli hit, diventate poi veri e propri inni di più di una generazione, ha saputo creare un vero trade mark inconfondibile. Tanti e tante poi sono gli eredi che le devono un po’, si potrebbe dire, la vita, oggi osannate da tanti – un nome su tutti per esempio Billie Eilish – che devono solo esser grati per la capacità di Lana di essere stata totalmente se stessa e di averlo fatto prima dei tempi, di essersi saputa ricostruire sempre, pur però mantenendo la propria identità, tormentata, inquieta, praticamente mai felice, ma sempre e ogni volta più vera del vero. Come tutti quanti del resto e in realtà siamo.
(Natan Salvemini)
Credits Foto: Facebook – La Prima Estate