Share This Article
Nulla sarà più come prima: mai come stavolta l’esordio solista di un cantante di una band di successo porta a disinteressarsi del perché, quesito classico in questi casi, per indagare il “e cosa succede adesso”? Non ci si riferisce al prosieguo concreto dei Fontaines D.C., questo non è in discussione, ma di come sarà la loro prosecuzione, ecco, quello è il punto. Già la fase di ascesa pareva essere arrivata all’apice per la band di Dublino, tre album uno più osannato dell’altro ma soprattutto il vento in poppa di un genere – il famigerato, che nessuno sa veramente cos’è, post punk di fine anni Dieci/inizi anni Venti – che inevitabilmente viene a stancare dopo più o meno un lustro. Tranquilli, amanti del post punk, succede a tutti i generi, è come la risacca del mare, non c’è pezza, come dicono a Bologna (solo il pop rimane sempre sulla cresta dell’onda, benché sia poi vero che il concetto di pop è intrinsecamente ondivago, quindi di fatto questo è una conferma del fatto che tutto cambia e ci sono corsi e ricorsi).
E dunque: cosa faranno i Fontaines D.C. dopo che Grian Chatten ha dimostrato loro che c’è vita oltre l’urlo, l’incazzatura (giusta), l’amore per i Joy Division? Praticamente Chatten, con questo album intriso di amore per il senso delle ballate folk irlandesi (“Salt Throwers off a Truck”), per la leggerezza e varietà dei Waterboys (“Fairlies”), per il cantautorato colto con striature dei ’70 (“Bob’s Casino”), ha anticipato le (possibili) loro mosse e li ha presi in contropiede: se i Fontaines D.C. si avventureranno per queste strade, a loro probabilmente congeniali in quanto irlandesi, andranno a essere una copia del Chatten solista, se riproporranno un album sul solco di “A Hero’s Death” e “Skinty Fia” (un “Dogrel” non riusciranno più a farlo, volata gioventù!) si ripeteranno in modo probabilmente più stantio e inizierà definitivamente il loro declino. Quindi il quintetto di Dublino sarà chiamato a evolvere, e di molto, se vorrà mantenere alta l’attenzione su di esso.
Grian Chattan ha pubblicato un album inaspettato, per profondità e calore, di cui comunque non si capisce ancora il senso se è vero che il cantante irlandese ha dichiarato di essere una sorta di risposta a un’ansia derivata dall’essere sempre in tour: com’è che se ti mette a disagio essere sempre in prima linea nella musica ti ci ributti subito? L’esigenza dunque deve essere quella di una sensibilità inespressa nei Fontaines D.C., già vagamente intuita nel cameo di lui da solo, al pub, nel documentario sugli U2 “Bono & The Edge: A Sort of Homecoming”, come a dire che il testimone dagli U2 l’avrebbe raccolto lui, non la sua band, e soprattutto che a lui interessava quella investitura.
Al netto di qualche pecca d’inesperienza da un punto di vista di arrangiamento, a tratti un po’ poco lungimirante e un po’ basico (il produttore è quello di tutti e tre gli album dei Fontaines, Dan Carey), “Chaos For The Fly” è una buona prova solista e fa volare una mosca che potrebbe infastidire i D.C.: quella mosca va un po’ a caso, per ora, diciamo che improvvisa, ma chi lo sa cosa potrà fare in futuro.
74/100
(Paolo Bardelli)