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Wilco @ Villa Torlonia, San Mauro Pascoli – Aug. 24, 2023 – acieloaperto
La prima delle due tappe italiane dei Wilco in questa tranche del loro tour a supporto di Cruel Country, l’ottimo disco-fiume pubblicato lo scorso anno, evento che è parte della rassegna musicale romagnola acieloaperto, è uno spettacolo di altissima intensità che, come ci si poteva immaginare, non solo non delude ma regala due ore di un travolgente e raffinatissimo amalgama di rock, folk, Americana e country che solo una band come quella di Jeff Tweedy e soci – non per caso uno dei più importanti gruppi statunitensi nati dagli Anni Novanta a oggi – è in grado di costruire: la loro creatura vive in un perenne e delicato equilibrio tra più generi e umori ed è al tempo stesso, come sappiamo bene, solida e combattiva. Incrocia i percorsi dell’oggi e dello ieri e sa guardarsi intorno senza mai ripetersi o perdersi.
È anche per questo che la musica dei Wilco è sopravvissuta a sé stessa e alle (più d’una) “crisi dei generi” che folk, country e rock hanno attraversato negli ultimi decenni. Non adeguandosi e non autocelebrandosi mai la loro musica avanza e matura e non profuma di nostalgia o di mancanza. Tesse fili intricati tra il cantautorato folk-rock del passato, l’underground di ieri l’altro – in particolare dei ’90s, il decennio in cui il gruppo è nato – e persino la sfera indipendente – e non solo – del presente. Con un nuovo disco, Cousin, in arrivo tra poche settimane, prodotto dalla cantautrice gallese Cate Le Bon, i Wilco sono pronti a cambiare pelle ancora una volta. Lo show è tutto una sinusoide tra novità e conferme, tra passato e presente. La certezza è una sola: pur evolvendosi i Wilco non cambiano mai, e questa è la cosa più bella che ognuno di noi vorrebbe sapere.
In questa calda e afosa serata di fine agosto la rassegna musicale acieloaperto giunge al suo penultimo appuntamento, uno di quelli col botto. I Wilco di Jeff Tweedy e soci sono un punto di riferimento per chiunque ami o anche solo ascolti en passant il folk-rock d’oltreoceano, una di quelle band che negli Anni Novanta ha (ri)costruito il genere e le sue (pressoché infinite) declinazioni per sondare un percorso che sa tenere insieme tradizione e innovazione. La suggestiva cornice di Villa Torlonia – dove peraltro l’anno scorso si era esibita un’altra band del medesimo spessore, i Flaming Lips – è perfetta per l’evento. Anche ciò che ai Wilco conduce non è da meno: ad aprire lo show del gruppo chicagoano e a contribuire a edificare il mood riflessivo e insieme leggero della serata è, infatti, Courtney Marie Andrews, opener di alto livello e assolutamente azzeccato. Una mezz’ora di spettacolo di Andrews è sufficiente per apprezzare la qualità delle sue composizioni e tastare plasticamente l’alchimia che esiste tra lei e i due musicisti al suo fianco. La voce onirica e romantica di Andrews si fonde perfettamente con le sue eleganti pennate di chitarra e con i ritmi e le note che i suoi colleghi innalzano. Anche il pubblico, che la conosce, comprende che il momento è già magico e ascolta rapito, in silenzio, canticchiando i brani più celebri e gustandosi la solidità e l’incantesimo della performance.
I Wilco salgono sul palco intorno alle 21:55. La formazione è quella classica, quella che non cambia da quasi vent’anni: al fianco di Jeff Tweedy (voce e chitarre) ci sono cinque musicisti stratosferici come John Stirratt (basso e chitarre), Pat Sansone (tastiere e chitarra), Mikael Jorgensen (pianoforte, tastiere e synth), Nels Cline (chitarre) e Glenn Kotche (batteria). Sin dall’inizio lo show è un tripudio di suoni eclettici e coinvolgenti che attraversa tutte le gradazioni e gli umori del folk, del rock e del country. Dal recentissimo disco che fa ironicamente i conti proprio con il country i Wilco selezionano il pezzo che dà il titolo all’album e che, eseguito al fianco di “I Am My Mother” e “Story to Tell” nella prima parte del concerto, contribuisce a creare uno scoppiettante nucleo basato su alcuni dei brani più incisivi e dinamici del più recente disco della band.
Le graffianti e acide contorsioni chitarristiche di Cline fanno da contraltare alle tastiere e ai synth di Jorgensen, a tratti luminosi e a tratti opachi e misteriosi. Jeff Tweedy è come al solito pienamente calato nelle canzoni che interpreta ed è particolarmente gentile e grato nei confronti del pubblico, che ringrazia più volte, anche in italiano, e applaude quasi commosso. «I love my country like a little child / Red, white, and blue», canta in “Cruel Country” come pungolato da spiriti che vuole presentarci e modellare di fronte ai nostri occhi. Noi lo guardiamo diventare un tutt’uno con la sua musica e con i suoi compagni di viaggio.
Prima di questa manciata di brani tratti da Cruel Country il concerto era iniziato con “Handshake Drugs”, cavalcata folk enigmatica tratta da A Ghost Is Born che rapisce e conquista il pubblico sin dalle prime note. I classici del gruppo non tardano ad arrivare: oltre al pezzo d’apertura e allo spazio dedicato a Cruel Country, nella prima parte dello show c’è anche tempo per due momenti altissimi che arrivano da Yankee Hotel Foxtrot e da Being There: dapprima è la volta di una sentita e vitale “I Am Trying to Break Your Heart”, che investe il pubblico di energia e di trepidazione; poi, eseguita la divertita e fanciullesca “If I Ever Was a Child” tratta da Schmilco, è il momento di una scoppiettante “Misunderstood”. Si tratta di esecuzioni di una brillantezza acceccante di due classici del gruppo che gli spettatori adorano e ai quali tutti reagiscono con stupore e con gioia. Non manca neanche il nuovo singolo, “Evicted”, che era stato eseguito per la prima volta dal vivo giusto pochi giorni fa: la sua trama electro-pop psichedelica ci ipnotizza e ci fa quasi ballare.
Magistrale è ovviamente il lavoro della band: nell’economia del sound dei Wilco, oltre alla voce stratificata e polverosa – come le highways che attraversano gli States – di Tweedy, conquistano i vortici chitarristici di Cline e il lavoro al piano, ai synth e alla chitarra del frenetico Jorgensen. Anche il lavoro ritmico di Kotche è straordinario. La band sembra posseduta e quest’aria frizzante si propaga tutt’intorno e contagia gli spettatori. A dimostrarlo è sia la chimica tra i membri della band che in ogni brano emerge sia in particolare i lunghi strumentali di alcuni brani. La coda della immaginifica “Impossible Germany” è un manuale d’istruzioni per chi ancora conosce poco i Wilco e non ha un’idea chiara di quanto siano grandi come musicisti e compositori; per chi invece li ama e li segue da sempre non è che l’ennesima conferma di quanto coinvolgente e talvolta toccante possa essere la loro musica. I dialoghi chitarristici tra Tweedy, Cline, Stirratt e Sansone non sono mai banali e sono, anzi, studiati nei minimi dettagli. Ancor più che colleghi e bandmates quei sei ragazzi (cresciuti) che sono sul palcoscenico sembrano amici o fratelli.
Lo show procede con mestiere regalando altre perle che consolidano il valore e la statura della scaletta e la enorme versatilità che la band sa abbracciare. “Hummingbird” è un diamante che sa di crooning d’altri tempi e di caleidoscopi beatlesiani ed è poetica e travolgente quanto su A Ghost Is Born. Un altro splendido brano proveniente dall’amatissimo Sky Blue Sky è “Side with the Seeds”, anch’esso un pop romantico e abbacinante accolto da un’ovazione del pubblico e interpretato in modo impeccabile dal gruppo, dall’eccelsa intepretazione vocale di Tweedy alle meravigliose klimakes create da Kotche e da Jorgensen. Nel corso della serata non possono mancare altri classici mozzafiato come il sortilegio viscoso che è “Jesus, Etc.”, vigorosa e melanconica, e le adrenaliniche e frantumate “Heavy Metal Drummer” e “A Shot in the Arm”, assertive e polverizzanti nel modo in cui il gruppo le esegue, con così tanta convinzione e una compattezza notevole. «Voices escape singing sad, sad songs», canta Tweedy stregato, mentre il pubblico insegue e afferra metaforicamente lui e i suoi colleghi introiettando e interpretando a suo modo il testo e la musica di quel brano capolavoro.
Si arriva così all’encore, ampio e appassionante, che, dopo un altro brano tratto da Cruel Country, la quasi filastrocca sentimentale che è “Falling Apart (Right Now)”, ritorna a Being There passando prima per l’ammaliante “California Stars” che i Wilco incisero anni fa con Billy Bragg. Si arriva, così, alla infuocata doppietta di “I Got You (At the End of the Century)” e “Outta Side (Outta Mind)” che riportano indietro ancora una volta le lancette a quasi trent’anni fa pur suonando contemporanee, rilevanti e infinite nel folk rock consumato che evapora da esse e si irradia sul pubblico e dal quale siamo tutti colpiti.
A chiudere il live è “Spiders (Kidsmoke)”, una fan favorite tratta anch’essa da A Ghost Is Born che concede al pubblico il singalong conclusivo mentre Tweedy lo incalza e lo ringrazia sommessamente. Alla fine del concerto, dopo due ore di musica così intense e partecipate, risulta quasi superfluo ribadire che i Wilco sono una creatura magica e anfibia la cui natura a cavallo tra folk, rock, country e pop è il suo più grande punto di forza alla pari dell’immenso talento dei suoi musicisti. Il coraggio di essere multiformi e perennemente a caccia di nuovi suoni e avventure è la carta d’identità più sincera e vivida che può descrivere i Wilco. E noi siamo contenti di sapere che questo non cambierà mai.
(Grazie a Enrico Tallarini per la foto di copertina e all’inizio del report. Gli altri scatti sono di Samuele Conficoni.)