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Indiana Jones e il quadrante del destino è l’epilogo sbiadito di un’icona e di un’epoca. Gonfiato nella durata, è soprattutto la regia di James Mangold che fatica a riprodurre l’inimitabile tocco spielberghiano
A spasso nel tempo
George Lucas crea il personaggio dell’archeologo e avventuriero Indiana Jones proprio mentre al cinema prende il via la sua fluviale saga fantascientifica Star Wars.
I predatori dell’arca perduta, scritto da Lucas e Philip Kaufman, sceneggiato da Lawrence Kasdan e diretto da Steven Spielberg, debutta sul grande schermo nel 1981 e diventa il maggior incasso dell’anno e uno dei massimi successi popolari del cinema americano, rendendo immediatamente iconica la figura dell’archeologo con la frusta e inscindibile dal suo interprete Harrison Ford.
Se, ad esempio, James Bond ha cambiato diversi volti, modificando anche con sfumature sottili la tipizzazione del character, per Indiana Jones è possibile solamente invecchiare sui lineamenti e il phisique du role del proprio referente attoriale.
Ma in realtà il dottor Jones nasce da una commistione sapiente di riferimenti letterari (Le miniere di re Salomone di Henry Rider Haggard), storici (Giovanni Battista Belzoni e Otto Rahn) e cinematografici (specie i film avventurosi e le screwball comedy degli anni Trenta e Quaranta), che ne fanno un personaggio postmoderno e un eroe della cultura popolare. La grandezza di Indiana Jones è di non avere una vera e propria evoluzione ontologica: resta sempre uguale a sé stesso, come il protagonista di un fumetto eternamente intrappolato in storie senza tempo. E il tempo è una questione fondamentale, che il nuovo e conclusivo capitolo della saga pone al proprio centro. Indiana Jones e il quadrante del destino nasce come epilogo dell’intera saga , la quale si compone di una trilogia anni Ottanta e un quarto capitolo uscito ben 19 anni dopo (Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, 2008), tutti diretti da Spielberg mentre quest’ultimo vede in cabina di regia James Mangold, che ne fa quasi un testo teorico e autoriflessivo. Il film si apre con un lungo incipit ambientato nella Germania nazista, in cui Indy scampato miracolosamente alla morte sottrae il quadrante di Archimede dalle mani dei nemici. Durante tutto il prologo vediamo Ford/Indiana ringiovanito digitalmente, per poi ritrovarlo rugoso e incanutito nel 1969, nel giorno dell’allunaggio. Il salto dal suo passato (1939) al suo presente (1969) è brusco e Ford/Indiana pare quasi svegliarsi da un sogno, disturbato dalle festose note di Magical Mystery Tour dei Beatles, che provengono da un appartamento vicino.
Questo è il primo salto temporale del film, poi successivamente grazie al quadrante del titolo si viaggia a ritroso nel tempo per passare dalla Germania nazista all’assedio di Siracusa. La struttura diacronica in questo modo si increspa, diventando quasi una metafora del passato/presente cinematografico di chi guarda. Il 1939 di Indiana Jones sono gli anni Ottanta dello spettatore, mentre il suo 1969 è il nostro 2023. Questa lettura parallela tra il tempo diegetico e quello cinematografico della saga diventa intrigante, allora cosa non funziona? Sicuramente la regia che cerca di accarezzare il coté spielberghiano, ma Mangold (che resta solamente un onesto mestierante), non possiede la leggerezza e l’umorismo fanciullesco del papà di E.T. e l’operazione diventa presto una lunga ed estenuante rimasticazione di topoi già percorsi, in cui brillano solamente alcuni duetti tra Harrison Ford e Phoebe Waller-Bridge (oltre al già citato prologo). Ma siamo decisamente lontani dall’effervescenza parodica di Il tempio maledetto o dall’ironia storico-politica di L’ultima crociata.
Indiana Jones e il quadrante del destino è lo sbiadito addio di un’icona e di un’epoca, che soffre di un effetto macchina del tempo e dell’elefantica durata da Cinecomic Marvel (non a caso co-produce la Disney), concludendosi nuovamente con un risveglio di Indy ad avventura finita e con il passato che si incarna nel corpo/presenza di Karen Allen. Peccato che l’epilogo si ferma alla malinconia senile senza osare il mèlo, come invece è avvenuto nel bellissimo e incompreso ultimo Bond No Time to Die. Il dottor Jones ci saluta così, con un pallido e un po’ triste giro sulla giostra dei ricordi.
Indiana Jones e il quadrante del destino Indiana Jones e il quadrante del destino
- Indiana Jones e il quadrante del destino [Indiana Jones and the Dial of Destiny, USA, 2023]
- REGIA James Mangold
- CAST Harrison Ford, Phoebe Waller-Bridge, Mads Mikkelsen, Antonio Banderas, John Rhys-Davies
- SCENEGGIATURA James Mangold, Jez Butterworth, John-Henry Butterworth e David Koepp
- FOTOGRAFIA Phedon Papamichael
- MUSICHE John Williams
- MONTAGGIO Michael McCusker, Andrew Buckland e Dirk Westervelt
- Avventura, 154 minuti
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