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Ormai da anni l’Appuntamento di fine estate per chi ama un certo tipo di musica e modo di viverla, il Todays festival non ha tradito le attese.
Il cartellone, molto eclettico, ha dato l’occasione di riuscire a vedere alcuni set che raramente passano da noi.
Quest’anno ho potuto assistere solo alle prime due giornate.
Day 1
Il festival parte, sotto un sole cocente, con i King Hannah, gruppo di Liverpool in tour nel nostro Paese, hanno decisamente convinto con il loro suono “a combustione lenta”, pescando i brani dalla loro ancora breve discografia (un lp e due ep).
I quattro sono passati dalle sonorità più intime di ”The Sea Has Stretch Marks” a quelle più ‘aperte’ di “Meal Deal” e sofferte, come in “Creme Brûlé”.
L’intermezzo della cover di Bruce Springsteen, “State Trooper” fissa da tempo nella loro setlist fanno da trait d’union con gli headliner della serata (Wilco). La conclusiva “It’s Me and You, Kid” è il momento migliore del set sembrato un crescente flusso di emozioni, tutto questo nonostante, come ci ricorda la cantante Hannah Merrick, le tre ore di sonno nelle ultime 28 (!!!). Una piccola nota può essere per gli organizzatori che un tale set avrebbe meritato un orario più serale che tardo pomeridiano, certamente più consono alle melodie del gruppo.
Come ricordavo sopra a proposito di eccletismo, il set dopo non poteva essere più ‘stridente’: i Les Savy Fav di Tim Harrington. Il frontman famoso per essere sopra ad ogni riga immaginabile: si presenta con i capelli e la barba completamente arancioni e nonostante la band marci unita nel post-hardcore dei vari brani, il leader pensa sì a cantare ma anche a camminare nel pubblico, cercando di far partecipare tutti, cani compresi (giuro!) e sicuramente questo non fa dello show il massimo della godibilità e lo fa assomigliare più ad una performance artistica che ad un canonico concerto.
Detto questo la band di tre elementi solidi che gira che è un piacere e quando Tim pensa a cantare/declamare più che a spogliarsi o ad asciugarsi il sudore tipo ‘sindone’ su uno sfortunato spettatore dalla maglia bianca, i pezzi ci sono: “Let’s Get Out of Here” su tutti.
Archiviata questa singolarità si torna alla forma più canonica con i Warhaus, band belga di Kortrijk, attiva da poco più di cinque anni ma già con un paio di album di notevole classe.
Il frontman è Maarten Devoldere dei più titolati Bathazar e il repertorio spazia dal rock più crooner al free-jazz, il che dimostra l’enorme capacità di adattarsi di questi quattro ragazzi che passano da uno strumento all’altro (tromba, trombone, chitarra, violino…) con semplicità disarmante.
Echi di Leonard Cohen (la conclusiva “Open Window” un vero omaggio) e Tom Waits girano per i palco. Con “Shadow Play” si intravede anche Serge Gainsgbourg. La partecipazione del pubblico è sorprendente soprattuto nei brani più profondi, con un pathos incredibile.
Ora è tutto pronto per gli headliner della prima serata: i Wilco.
In perfetto orario sale sul palco la band di Jeff Tweedy, fresco 56enne, e subito ‘quelli che c’erano sedici anni fa’ hanno un tuffo al cuore, infatti l’inizio è affidato a “Spiders(Kidsmoke)” dove causa blackout Tweedy andò avanti a cappella fino al ritorno della corrente (il brano dura più di 10 minuti). Questa volta niente imprevisti ma i brividi ci sono lo stesso.
La setlist spazia per i vari periodi della band e non si può altro che godere per ogni declinazione di ‘Americana’ che ha incarnato negli anni la band di Chicago: “Cruel Country”, “I Am Trying to Break Your Heart”, “If I Ever Was a Child” tre brani lontani con tre declinazioni diverse di country.
Immancabili la “Misunderstood” con il “nothing” ripetuto ad ogni concerto un numero diverso di volte, la sempre incredibile “Jesus etc” e “Impossible Germany” con l’ispiratissimo assolo di Neils Kline.
Il finale con “Outtasite (Outta Mind)” rock potente che chiude il cerchio con le varianti che Tweedy e soci propongono ogni sera, precisi, perfetti ed emozionanti.
Day 2:
La seconda giornata, sold out, è ancora tutta all’insegna dei set ‘asincroni’: partono i Gilla Band, band post-punk, che mette assieme tante influenze, la più evidente è quella dei Falls di Mark E Smith, ma anche, nei testi, i Joy Division.
Musica granitica con testi strazianti, declamati e urlati, non per tutti.
Nonostante ciò i ragazzi sotto il palco pogano, cantano e si dimenano per “Backwash”, “Lawman” e “Eight Fivers” forse le più emblematiche del gruppo dublinese.
Uscita di scena la band di Dara Kiely, tocca alla modaiola Anna Calvi.
Stilosissima in un vestito bianco e nero, occhiali da sole e pettinatura impeccabile sembra arrivare da un altro pianeta, o meglio dalla comunione del nipote se non fosse per la chitarra che suona (ottimamente) e la voce che usa senza mezzi termini.
Per chi scrive non è mai stata in cima alle preferenze musicali, ma a detta di molti, dal vivo non la si può perdere.
La band la segue diligentemente, lei inanella assoli e vocalizzi fin troppo perfetti e lineari che sinceramente non trasmettono quella carica o l’energia che ad esempio, artiste simili come St Vincent hanno. In questi 50 minuti non mi ha trasmesso nulla di più di un piacevole intermezzo e sono passati senza la minima impressione, proverò a darle un’altra possibilità, ma non sembra proprio “il mio”.
La penultima band della serata sono gli Sleaford Mods, che montano il palco in quattro minuti: microfono e laptop appoggiato su un “Cable Case” da palco.
Jason Williamson e Andrew Fearn stanno portando in tour il nuovo lavoro “UK grim” e proprio con il brano omonimo iniziano il set.
I beat provenienti dal laptop di Andrew, che ha saltato e ballato tutto il set, sono trascinanti come “mr Williamson” che riempie il palco con le sue folle movenze e il suo carisma, declamando le furibonde “Mork n Mindy”, “Jobseeker”(almeno al doppio della velocità) e “Nudge it”.
“Force 10 from Navarone” scatena il pogo e una pompatissima “Tied up in Nottz” esalta fino a “Tweet Tweet Tweet” che termina il set.
Tocca ora ai Verdena, attesissimi e protagonisti di un tour sold out ovunque inanellano un set ispiratissimo, con pochi riferimenti al passato dove spiccano solo “Luna” e “Logorrea”.
In formazione a quattro, molto concentrati, tanto che salutano solo verso metà set.
“Paul e Linda” apre il concerto dove ovviamente i brani dell’ultimo “Volevo magia” saranno la maggioranza ma una “Don Calisto” così spinta o una “Il Gulliver” così psichedelica in diversi anni non le ho mai sentite.
Pochi fronzoli, ammiccamenti o scazzi hanno portato il gruppo a presentare un set ad un livello sia sonoro che d’impatto notevole: l’acustica “Sui Ghiacciai”, “Volevo magia” e “Muori Delay” sono notevoli e credo possano far fare pace a chi ad inizio tour li aveva dati per finiti nel girone dell’autoreferenzilità.
Come premesso il Todays Festival si conferma come uno dei migliori festival indie italiani per attitudine e line-up. Impossibile rimanerne delusi.