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#IT-alien
Talèa è un’artista con tante sfaccettature che riesce a coniugare un’esperienza da cantautrice italiana con sonorità soprattutto elettroniche e di confine molto ricercate. Dopo un EP in inglese, Tales, la venticinquenne marchigiana Talèa ha pubblicato il suo primo album, Aura (Vrec Music/Audioglobe), prodotto, mixato e masterizzato da Flavio Ferri e questa volta cantato in italiano. Un album sorprendente, che va approfondito e che merita di essere segnalato nella nostra rubrica “IT-alien” riservata ai migliori progetti italiani. Abbiamo pensato quindi di approfondire la conoscenza dato che Cecilia (questo il suo vero nome) si esibirà a Rock In The Village a Pellegrino Parmense, festival di cui siamo media partner, con un’intervista via mail.
Mi sembra che la componente del “suono” sia molto presente nei tuoi pezzi: sei più interessata a quello o alla forma canzone?
Per natura, la prima cosa alla quale faccio attenzione quando ascolto un brano è il testo. Per molto tempo, la vera scomposizione del suono è arrivata al quarto o quinto ascolto. Ultimamente il suono mi colpisce parecchio sin da subito e mi incuriosisce immaginarne la costruzione, facendo un percorso al contrario. La forma canzone è una convenzione, un invito all’ordine. In questo periodo della mia vita sto sperimentando, a piccole dosi, il piacere del caos.
Vuoi farci capire meglio a come sei arrivata a un risultato così composito come “Aura”? Descrivici un po’ il tuo processo creativo…
Aura è stato un lavoro dalla realizzazione veloce ma anche il frutto di un periodo intenso, lungo, complesso e di molte riflessioni. Se non fosse stato per Flavio, avrei sicuramente lavorato in maniera molto diversa. A livello creativo abbiamo buttato giù quante più gabbie possibili focalizzandoci sulla bellezza del disfare. In questo disco, ogni canzone è nata in maniera differente: alcune hanno visto nascere prima un testo attorno al quale abbiamo cucito una musica, altre sono nate pezzo per pezzo portando in parallelo musica e parole, altre sono la fusione di più brani, altre ancora sono il frutto dello sviluppo di una cellula armonica sulla quale abbiamo creato un testo. C’è un brano, ad esempio, che Flavio aveva scritto per sé in inglese e che poi io ho “tradotto” in italiano (virgolettato perché non ho preso quasi niente del testo originale a livello di significato) basandomi solo su metrica e suono. Lavorare con Flavio è una lotta continua contro i propri limiti, e la cosa pazzesca è che, alla fine, si vince ogni volta.
“Aura”, il tuo album di debutto, è uscito da poco: ora a cosa punti di più? A presentarlo in concerto in lungo e in largo o hai altri obiettivi come ad esempio passaggi radiofonici o ottenere visibilità sui media? Cos’è che ti farebbe davvero felice?
Sicuramente c’è il desiderio che questo lavoro arrivi a più timpani possibili, sarebbe ipocrita dire il contrario. La verità è che ci sono tanti modi per farlo ascoltare, ma sicuramente quello più divertente è suonarlo live. Ho lavorato tanto a questo spettacolo, a tutti gli aspetti del live e a tentare di renderlo un’esperienza vera attraverso il concept. Ogni volta che lo porto su un palco succede qualcosa di bello, quindi non ho intenzione di fermarmi!
A “Rock in the village” a Pellegrino Parmense con che formazione ti esibirai? Da sola o con “una band” o qualche altro musicista?
Sul palco sarò, come sempre, in solitaria. Ma mi farà compagnia la mia combriccola di strumenti.
Da un punto di vista testuale mi sembra che spesso ti interessi di più il suono delle parole che il loro significato… è corretta questa annotazione?
A dire il vero, no. Sono molto legata al significato delle parole e al loro ruolo. Il disco presenta dei testi che potrebbero sembrare sconnessi, scollegati, astratti. Lo sono, ma in maniera totalmente voluta. Aura racconta le occasioni creative della Cefalea con Aura e le fasi di un attacco. I testi sono lo specchio di un sentire distorto, senza appigli, a tratti rovesciato, che alle volte trova attimi di respiro ma che, come un onda, ricade in se stesso.
E come mai quella parte in inglese all’inizio di “Rovesciamenti”?
L’inglese è una lingua alla quale sono molto legata: la mia storia inizia attraverso la scrittura in inglese. “Rovesciamenti” si trova al quarto posto nella scaletta del disco e racconta la fase iniziale dell’attacco, quella in cui i primi sintomi del caos sconvolgono ogni certezza. La mente mescola gli idiomi, ricorda frasi, ne analizza i messaggi, le ripete come fossero appigli di luce al razionale, al conosciuto.
Quali sono stati i tre riferimenti, artisti o album, che hai tenuto presente quando hai registrato “Aura”?
In fase di pre-produzione, durante la stesura dei testi, (tra gli altri artisti) avevo nelle casse Sevdaliza, i Jockstrap e Marina Herlop.
(Paolo Bardelli)