Share This Article
Il secondo giorno del Cala Mijas, festival andaluso di fine agosto, è quello destinato a The Strokes.
Se con i Florence and Machine si trovano fan di tutte le età (con predominanze di outfit floreali), gli Strokes invece portano un’alta predominanza 25/35, con pubblico di tutte le nazioni.
Dovessi fare una lista di canzoni per l’ingresso dei The Strokes sul palco, sicuramente “Vamos a La Playa” dei Righeira non mi sarebbe mai venuta in mente. Mai. Eppure si inizia così.
Con gli Strokes che entrano ballando sul palco, canticchiando un ritornello tipico da spiaggia a Rimini anni 90’. L’atmosfera è quella giusta, sul palco si denota subito un calo di luminosità, molte luci dietro le spalle, poche ad inquadrare i volti del gruppo di New York. Joe Talbot, cantante degli Idles (gruppo presente al festival), durante le interviste prima dell’inizio del Cala Mijas, indica gli Strokes come headliner ideale.
Le altre due sue scelte sono Daft Punk e Nick Cave. Tre entità ben precise, distintive di una generazione o di un suono specifico.
Ci si mette relativamente poco a capire che l’impatto è ancora vivo: la folla si infiamma subito: “Last Nite/ These Adults Are Talking” sono una combo mortale e si trovano rispettivamente come terza e quarta canzone in scaletta. Due pezzi, forse tra i più significativi della band, ad inizio concerto.
L’esecuzione è asciutta, precisa e Julian sembra tra il brillo ed il divertito, non curante ovviamente del pubblico. Gli Strokes si chiamano così perchè: “Il nome che ci siamo scelti può essere inteso sia come carezza sia come pugno. Perciò riflette perfettamente l’impatto della nostra musica: a volte duri e aggressivi, a volte delicati e melodici” Questa alternanza colpisce tutto lo show.
“Reptilia” e “Juicebox” sono indubbiamente la quota “aggressiva”. La folla esplode, salta infervorata sulla base di riff di chitarra potentissimi che rappresentano la forza del rock melodico. Due brani veloci, da gridare a squarciagola, ma senza perdere di vista la linea sonora.
“Call It Fate, Call It Karma” e “Ode To The Mets” sono invece delle leggere inaspettate carezze. La voce di Jules sembra sempre in bilico ma rimane tagliente, ineccepibile. Si scopre quasi un lato tenero, straziato, da far venir voglia di un disco ballad dei The Strokes.
Julian invece è il performer più atipico e più iconico del panorama indie-rock. Alex Turner degli Arctic Monkeys cantava “vorrei essere uno degli Strokes”: A vederlo sul palco, prima dell’estate, si pone in un contesto diametralmente opposto rispetto a Julian Casablancas. Alex preciso, camicia bianca, occhiale da sole modello Aviator, capello provocante e gesti educati, composti, studiati, mentre Julian si presenta sgarbato, a tratti claudicante, ma menefreghista come solo lui può fare.
Outfit da cover band di paese, movimenti lenti ed atteggiamento di uno che il palco lo conosce, lo domina, senza curarsene troppo. Due poli opposti accomunati da una grande voce, da quel potente accento e dalla volontà di allungare le vocali entrando dentro il petto di tutti i fan. Due figure opposte accomunate anche dal disinteresse verso il pubblico che urla.
Le interazioni sono infatti ridotte al minimo ed entrambi si permettono di lasciare fuori pezzi identificativi della loro storia musicale (Under Cover of Darkness/Strokes, When The Sun Goes Down/Arctic Monkey).
Anche le canzoni meno note riescono a coinvolgere i fan, con riff iconici (“Someday”, “Soma”), sezione ritmica avvolgente (“Red Light”, “Meet Me in the Bathroom”) o con la voce di Julian (“Welcome to Japan”,“Bad Decision”).
Il finale è una dolcissima “Is This It”. Quando l’ho vista in scaletta mi sembrava uno strano modo di chiudere ma, in realtà, è la perfetta conclusione per disinnescare tutto, con la prima canzone del loro primo album.
Intro leggero,chitarra ipnotica, e Julian che attacca con un verso molto adatto al contesto: “Can’t you see I’m trying? I don’t even like it”.
Quando vedi gli Strokes non sai mai se li rivedrai in futuro. Ti chiedi sempre “chissà se Julian ricorderà le parole”,“chissà se saluteranno il pubblico”,”chissà se faranno canzoni nuove”.
La verità è che la loro forza è proprio questa incognita costante. Loro sono così e sono perfetti così.
La verità è che la nostra generazione perdonerà sempre tutto agli Strokes.
La verità è che con una scaletta simile, quei riff iconici, quell’attitude di Julian, l’energia sprigionata sarà sempre superiore a qualsiasi domanda. Tipo: quanto sarebbe bello un loro nuovo album?
(Giuseppe Gualtieri)