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Non è semplice, più emotivamente che fisicamente, approcciarsi ad un concerto dove è coinvolto David Eugene Edwards.
Che sia con i Wovenhand o con i 16 Horsepower il mood è sempre quello cupo, profondo e intenso.
Cosa aspettarsi dal tour ‘solo’ era un po’ un’incognita, tutto l’insieme delle sonorità del primo a suo nome “Hyacinth”, appena uscito, potevano venire perse o peggio riproposte solo in forma di basi.
Quest’ultima evenienta è stata fugata subito quando all’arrivo al Biko è stato subito evidente che Edwards non era solo.
Il compagno di viaggio, Ben Chilsolm (da anni con Chelsea Wolfe), aiuterà il cantante di Denver a dare vita ai brani recenti e passati, riempiendo spazi che altrimenti sarebbero risultati vuoti.
Nell’ora e mezza abbondante la set list vengono privilegiati i brani dell’ultimo lavoro, che aiutati da visuals e appunto dall’opera di Chilsolm, che tra l’elettrica suonata con l’archetto, percussioni, tastiere e qualche base, sono riusciti a rendere giustizia ad un lavoro molto cupo e orientato ad un genere che potremmo etichettare come “folk d’avanguardia” dove l’innesto di canti antichi e sciamanici, drum machine, beat e banjo si sposano in un unico vero nuovo corso dell’artista.
Live la presenza scenica di Edwards è potente: giacca di jeans e stivali argentati, cappello da outlaw la chitarra classica super effettata e l’immancabile banjo e il suo carisma lo rendono magnetico.
L’inizio è affidato a “Hutterite Mile” dei 16 Horsepower, la voce è profondissima, il violino presente nella versione originale è sostituito dal cupo stridore dell’archetto sulle corde di Chilsolm che urlano.
Poi tocca ad una sequenza senza tregua di brani da “Hyacinth”, fino alla “Outlaw Song” il traditional che già con i 16 Horsepower avevano registrato anni fa, in una versione roca ed essenziale, veramente profonda.
Lo show prevede l’uso di visuals che intensificano i brani che Edwards riesce a reinterpretare grazie all’ampia pedaliera e ai loop che creano la tensione necessaria per coinvolgere maggiormente l’ascolto.
Sparsi per la setlist si ritrovano “Kingdom of Ice”, “The Speaking Hands” e “All Your Waves” del progetto Wovenhand, portati live con arrangiamenti differenti ma efficaci che aggiunti all’interpretazione convinta e apassionata del cantante risultano un tutt’uno con quelli più recenti.
Dell’ultimo album la migliore è stata “Weaver’s Beam”, brano profondo che sembra uscire dal dell’anima di Edwards tanto da riuscire a trascinare negli inferi della mente.
L’unico encore Edwards ha eseguito “Whistling Girl” dei Wovenhand a riconferma che il vecchio (relativo) e il nuovo corso possono tranquillamente convivere ed evolversi , cosa che da un vero artista si dovrebbe esigere ogni volta.