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L’R&B sensuale e filosofico di Jamila Woods cresce e matura ulteriormente in Water Made Us, che arriva quattro anni e mezzo dopo LEGACY! LEGACY! e se non raggiunge i picchi di quest’ultimo vi si avvicina molto. Al centro vi sono l’amore e il cambiamento: Water Made Us è un percorso che, anziché irradiarsi dall’autrice al mondo esterno come accadeva nel suo precedente lavoro, procede verso l’interno, dentro di lei, per poter ricostruire le impalcature mentali e psicologiche grazie alle quali elevarsi e poter finalmente ammirare ciò che si ha intorno con la consapevolezza del saggio.
Composto in una fase di meditazione e di infuocata ispirazione creativa immediatamente successiva al tour che aveva seguito l’uscita di LEGACY! LEGACY! e allo scoppio della pandemia, Water Made Us è un’elegia franca e potentissima che squaderna di fronte ai nostri occhi il potere che ha l’amore di cambiarci e di farci assumere mille forme e atteggiamenti differenti, mentre lui stesso evolve e cambia. Woods ci prende per mano e ci chiede di ammirare tutto questo, di provare a comprenderlo, di cercare di apprezzarlo anche nei momenti più difficili prima che tutto ci risulti così ovvio da sembrarci scontato o garantito. «It’s not gonna be a big production», canta nella schietta e ritmata “Tiny Garden”, continuando con «It’s gonna be a tiny garden / But I’ll feed it everyday», assicurando una fedeltà e una devozione totali al locus amoenus che l’amore crea, curando ogni singolo aspetto del progetto di vita che la attende con attenzione e precisione.
Nella seconda parte di “Tiny Garden”, pietra angolare del disco e vera e propria cartina di tornasole del sound, dei temi e degli umori che esso esplora, è duendita a prendersi la scena continuando a esplorare le sensazioni e le speranze che il brano intende srotolare davanti agli occhi di chi ascolta. L’atmosfera è rilassata ma esplosiva; i pochi featuring nel disco, questo di duendita, quello di Saba nella altrettanto riuscita “Practice”, hip-hop sferzante su una base musicale incalzante e metamorfica, e quello di Peter CottonTale nel neo-soul che guarda a Erykah Badu che è “Thermostat”, aiutano Woods a edificare l’impalcatura polifonica e di amplissimo respiro che caratterizza il disco; il punto da cui tutto si irradia, però, è lei; Woods è pronta, infatti, a impersonare tutte le diverse voci che Water Made Us contiene, che sono tutte quante sfumature della sua stessa personalità.
Già “Bugs”, il brano di apertura del progetto, evidenzia tutto ciò con chiarezza e con trasporto: alle domande esistenziali che si pone, come «Will I ever settle down? / Will I turn my life around?», Woods (si) risponde con quello che il mondo e la vita ci mettono davanti tutti i giorni: «Someone will break your tiny little rules», continua, chiedendo anche, però, «Please, be patient with me». La sorpresa di guardare e di approfondire con occhi nuovi e più curiosi ciò che un sentimento, come in questo caso l’amore, può portare di originale e di differente in noi giunge come inaspettata e rivoluzionaria, e la narrazione di Woods sottolinea con straordinaria abilità proprio questo aspetto: « It’s not that deep / Lower the stakes of your love», afferma mentre il brano sfuma verso un’affascinante e sensuale spoken poetry.
Al centro di Water Made Us, vera e propria superficie del disco, elemento tanto rilevante quanto il mai sazio e variegato mix di soul, hip-hop e R&B che è cifra caratteristica di Woods e che qui emerge con caratteristiche una volta ancora differenti rispetto ai suoi due dischi precedenti, è il talento della sua penna: arguti, poetici e profondi, i testi di Woods, che non a caso è anche poetessa, sono stratificati e potentissimi, pieni di citazioni al mondo letterario e a quello musicale e dotati essi stessi di una musicalità che li renderebbe interessanti anche se recitati senza musica; la capacità di Woods di adattarli a beat che ti si incollano alla pelle e a melodie accattivanti e di confezionarli in brani complessi e tridimensionali che, però, restano in testa già dopo un paio di ascolti, è un punto in più che mette a segno l’autrice e che la rende un fenomeno particolarmente interessante.
In un album che mette al centro l’amore e la sua capacità di cambiare chi ne subisce gli effetti risuonano le voci di chi ha già cantato ciò con altrettante profondità e arguzia, da Lauryn Hill nel suo Miseducation alla già citata Erykah Badu fino alle ancor più contemporanee SZA e Summer Walker, che, più o meno vicine alla sensibilità di Woods, risuonano tutte, in alcuni momenti, in Water Made Us. Allo stesso modo sono tante le sfumature emozionali e musicali che il disco percorre: se l’R&B di “Good News” ha le sue radici ben piantate nel precedente disco di Woods e nella sua sensibilità lirica ha qualcosa che rimanda all’ultimo disco di SZA col suo incedere melanconico e romantico nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa che sta per dissolversi, come testimonia il verso «The good news is we were happy once», “Send a Dove” è un quasi-rap radicato maggiormente in un universo pop raffinato e dolcissimo; «Because I love you, I get least of you / I get, I get the very minimum», canta Woods con un tono quasi rinunciatario ma mai rassegnato, prima che esploda il coro angelico, speranzoso e delicato, che intona «I hope you send a dove / For you, for you, you, you» dopo che Woods aveva confessato «I’d kiss the ground for you».
Sempre in questo tripudio di umori e di colori esplorano ulteriori strade brani come “Wreckage Room”, un gospel misurato e diretto con versi particolarmente incisivi e profondi come «I tried to feed your hunger / Until it swallowed me», un crescendo di emozioni e di dubbi che si manifestano nel sentito «Don’t feel sorry if you leave» che esprime in poche sillabe un concetto lungo secoli, o il folk-R&B cantautorale di “Wolfsheep”, ipnotica e bellissima e piena anch’essa di ossimori e di antifrasi tipiche dello stile compositivo di Woods particolarmente potenti e riuscite: «Everybody’s good / No one is», con un piglio scanzonato che a tratti si fa quasi commosso; il ritmo è incalzante, entusiasmante, e il risultato è senza dubbio uno dei brani più originali e innovativi di questo Water Made Us.
Attraversato, come ogni album di Woods, da differenti pulsioni e da tantissime idee, Water Made Us prova a comporre un discorso che non dev’essere definitivo e non deve avere un punto di partenza e uno di arrivo; il sentimento amore, come l’evoluzione dell’essere umano, non è un percorso orizzontale chiaro e univoco ma è più un cespuglio di più rami di cui non è sempre facile seguire la direzione; dal centro le varie strade si irradiano, si trasformano, evolvono e, soprattutto, ci cambiano, e, alla fine, noi siamo il risultato di questo, ci dice Woods con convinzione e con franchezza, e nel frattempo occorre vivere con questa consapevolezza.
80/100