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Una cover è per sempre
È normale anche se forse non proprio “giusto”: una carriera lunga e prolifica e si finisce ad essere “famosi”, o quantomeno “conosciuti”, solo per una canzone, per di più una cover. È il destino di April March, psedonimo di Elinor Blake, una cantautrice americana che i più associano a “Chick Habit”, canzone dei titoli di coda in “Death Proof” di Quentin Tarantino, film solitamente sottovalutato del regista hollywoodiano ma per il sottoscritto perfettamente in linea con la sua elevatissima produzione. La canzone parte nel finale, appena dopo che Rosario Dawson ha sfondato il cranio di Kurt Russell, quindi direi che dopo una chiusura così epica è facilmente ricordabile. Magari è meno noto però che “Chick Habit” è una cover di una canzone francese di metà anni ’60, “Laisse tomber les filles“, tradotta in inglese dalla stessa April March mantenendo la metrica e anche il tema della canzone, un accorato appello a smetterla di “saltare di fiore in fiore” con le ragazze, con un gustosissimo stile slang (“Smettila con le pollastrelle, smettila ‘daddy’”… “Oh, come scoppierà la tua bolla di sapone
/ Quando incontrerai un’altra infermiera / Guiderà in un carro funebre”), mentre l’originale era più un consiglio a non farsi coinvolgere troppo dall’amore. E chi era il compositore di “Laisse tomber les filles”? Un “certo” Serge Gainsbourg, al tempo non solo interprete ma anche autore di successo di canzoni “yé-yé”, quel tipo di pop francese degli anni Sessanta tipicamente cantato da ragazzine, nel caso specifico dall’allora 17enne France Gall.
La Francia, i disegni e la moda
Elinor ha amato fin da ragazza la cultura francese, infatti aveva partecipato da studente a uno scambio culturale in Francia, e da lì per tutta la sua successiva carriera musicale canterà sia in inglese ma anche nella lingua di Parigi. Una caratteristica piuttosto rara per un americano, se ci pensiamo bene. Oltre a ciò, la Blake è anche un’artista a tutto tondo, non solo musicista (cantante e chitarrista, anche se vedremo poi che non è particolarmente “tecnica”) ma anche disegnatrice (sua l’animazione dei disegni di Daniel Melgarejo che rappresentano Madonna come una figura simile a Betty Boop nel titoli di inizio del film “Who’s That Girl” -1986-, poi ripresi anche nell’omonimo video musicale) (1), modella (in particolare per la stilista francese Vanessa Seward) e attrice (2).
Suonare gli anni ’60 nel 1988: The Pussywillows
Ma a livello musicale? Il primo progetto fu, a metà degli anni ’80, The Pussywillows, un trio tutto al femminile amante del garage virato verso gli immarcescibili ’60: di stanza a New York, le tre amiche Elinor Blake, Lisa Dembling e Lisa Jenio univano melodie e cori alla Phil Spector (“Don’t Say He’s Gone”), twist veloci (“Everyone Will Know”), ballatone languide (“My Baby Looks But He Don’t Touch”) a un innegabile impeto garage (“The Boat That I Row”). La citazione di Phil Spector, oltre a essere naturale, è anche concreta: era infatti fan d’eccezione delle Pussywillows proprio Ronnie Spector, moglie di Phil nonché frontwoman delle Ronettes, che poi – anni dopo, nel 2003, quando la band non esisteva più – fece cantare i cori del suo album “Something’s Gonna Happen” a Blake, Dembling e Jenio.
Fotografia del sound delle Pussywillows è il loro primo e unico album “Spring Fever!” (Telstar Records, 1988), sette canzoni brevissime com’era nello stile del genere per totali 16 minuti di album che a questo punto è più corretto definire un EP. Erano anche amiche degli Yo Lo Tengo, e fecero i backing vocals in “Emulsified”, canzone contenuta nel quarto album della band di Ira Kaplan, “Fakebook” (1990). Dopo qualche concerto (tra cui uno nel 1991 al mitico CBGB), le Pussywillows si sciolsero proprio in quell’anno.
Lo spostamento a Los Angeles: The Shitbirds, The Haves e la carriera solista
A quel punto, eravamo nel 1991, Elinor Blake diede un cambio netto alla sua vita e alla sua carriera: adottò il nickname di April March e si trasferì a Los Angeles. Da lì iniziò l’avventura de The Shitbirds, un nome d’effetto che deriva dal gergo dell’esercito americano all’epoca del Vietnam che indicava i nuovi arruolati scelti per i compiti peggiori. The Shitbirds erano più elettrici e garage rispetto alle Pussywillows, diciamo un po’ come delle Vivian Girls del decennio precedente, con il gusto sixty sempre presente ma più tendente ai Ramones. La Blake cantava e spesso, invece del suo nuovo moniker April March, utilizzava quello di April Shitbird, mentre Phil Maynes (Phil Shitbird) suonava la chitarra (Maynes suonava anche il basso nella maggior parte delle registrazioni) e Steve Savitsky (Uli Shitbirdsky) la batteria. Nel frattempo la Blake continuava il suo lavoro di disegnatrice in quel periodo per la Spumco, società che produceva la serie di cartoni animati non politicamente corretti Ren and Stimpy (arrivarono anche in Italia a metà anni ’90 ma solo di sfuggita). L’inventore del cartone, John Kricfalusi, aiutava poi gli Shitbirds nel disegnare la maggior parte delle copertine dei singoli pubblicati dagli Shitbirds, così come Ariel March firmava e cantava in diverse canzoni degli album di Ren and Stimpy (3). Una roba collaborativa.
The Shitbirds in un concerto a San Diego
Gli Shitbirds non arrivarono a pubblicare un album, ma tutti i loro singoli sono raccolti nella compilation “Famous Recording Artists” (Sympathy For The Record Industry) del 1995, anno del loro scioglimento, presente ad oggi anche sulle piattaforme di streaming (non ci sono invece le Pussywillows). Tra i momenti migliori si segnalano il punk-garage veloce di “Oh Joy”, il rock’n’roll di “I Want You” e l’eclettica “Faster & Shorter”, ma tutta la compilation è piacevole.
In contemporanea con gli Shitbirds, e più precisamente verso la fine dell’esperienza, April March formò anche un altro gruppo, questa volta un quartetto e non più un trio, The Haves, che ci ha lasciato solo un paio di canzoni: “Coal Black” e “Lube Now!” (1995) dalla evidente tendenza garage storta sullo stile dei Butthole Surfers.
Ma è naturalmente il progetto solista di April March che più ci interessa, e questo nasce nel 1993 con l’EP “Voodoo Doll”, fortemente influenzato dal pop francese (“Kooky”), tanto che un paio di anni dopo la cantautrice se ne esce con un album il cui titolo dice tutto, “Gainsbourgsion!” (1995) che, include, appunto la poi tanto famosa “Chick Habit”. Le uscite di quel periodo vengono diversificate, e gli stessi album assumono nomi diversi a seconda dei Paesi di uscita, con le tracklist leggermente modificate: se infatti “Gainsbourgsion!” esce solo in Francia, negli States lo stesso album assume il nome di “Paris in April” (1996), così come “Chrominance Decoder” (1996) esce ad esempio in Giappone con il nome “Superbanyair”. “Chrominance Decoder” vede per la prima volta April March alle prese con un pop più leggero e con l’utilizzo di qualche sintetizzatore: non si può parlare di elettronica, ma i suoni si fanno più compositi (“Knee Socks”).
Da allora la carriera di April March è stata lunga e proficua, e particolarmente varia: nella seconda metà dei Nineties abbiamo “April March Sings Along with The Makers” (1997) con la collaborazione de The Makers (band uscita su Sub Pop nei primi 2000) che si sposta un po’ sul rockabilly (“Try To Cry”) ma sempre nell’impronta garage, e un paio di uscite con i Los Cincos, band rock del sud-california composta da ex membri degli Honeywell, dove si accentuano alcuni elementi psichedelici dell’epoca yé-yé (“April March & Los Cincos Featuring The Choir” su etichetta Hören ed uscito inizialmente solo in Giappone) e pop underground (“April March And Los Cincos”, album a tratti desertico e comunque di classe), entrambi del 1998.
Nel nuovo millennio April sente l’influenza delle atmosfere di nu-jazz (“La nuit est là“) e declina la sua passione per il pop francese in un ambito anche più trip-pop (la psichica “The Life of The Party“): l’album si intitola “Triggers” (2002). Passa qualche anno e il successivo passo è “Magic Monsters” del 2008 con la collaborazione del musicista e regista californiano (4) Steve Hanft, forse l’album meno riuscito della nostra perché non ha una direzione ben precisa e lo stesso Hanft canta dei brani per cui l’alternarsi delle voci confonde le intenzioni. Ma le collaborazioni continuano: è del 2013 il disco con gli Aquaserge, band di Tolosa legata agli Stereolab, in cui suonano anche il batterista dei Tame Impala Julien Barbagallo e il collaboratore di Melody’s Echo Chamber Benjamin Glibert. “April March and Aquaserge” è un EP frizzante, sicuramente sentito.
Possiamo dire quasi che la “collaborazione” è un principio di vita per April March: “Collaborare con altri musicisti è la cosa più divertente per me. Inoltre, da un punto di vista molto pratico mi è utile, perché non sono una grande musicista”, ha detto Elinor a Paste Magazine. “Se suonassi tutto io, il suono e la produzione non sarebbero come quelli degli album a cui ho collaborato. Non ne sono capace. Voglio dire, l’ho fatto per le colonne sonore. Per esempio, quando lavoravo con i Dust Brothers, Trey Parker, quello di South Park, voleva che scrivessi una canzone per un suo film intitolato Orgazmo, su un supereroe mormone. Voleva che scrivessi una canzone d’amore mormone. L’ho scritta e canticchiata ai musicisti, cosa che faccio sempre se ho un’idea. Lo facevo anche nei Pussywillows. Questo destabilizza un po’ le persone, ma ora lo so fare meglio”.
April March negli anni Venti
Se nel decennio scorso, in fondo, April March non è stata particolarmente attiva, non si può dire di questi ultimi anni: il primo featuring è con Olivia Jean, una cantautrice nata e cresciuta a Detroit e residente a Nashville, già con The Black Belles, nell’EP “Palladium” (2021), che raccoglie in pratica sei versioni diverse dello stesso brano, in francese, in inglese, versione funky o più rock’n’roll classico ingigantito da boombass. Ma il 2021 è soprattutto l’anno di “In Cinerama”, album uscito solo in vinile per il Record Store Day di quell’anno e che spazia dalla Nigeria alla California, con l’incredibile partecipazione del batterista Tony Allen e la collaborazione del compositore francese Mehdi Zannad. Nelle canzoni in cui suona Tony Allen (“Rolla Rolla”, “Californian Fall”, “Stand In The Sun”, “Elinor Blue”, “Born” e “Open Your Window Romeo”) le parti batteristiche sono qualcosa di fenomenale. In generale April March approda finalmente su spiagge molto chiaramente indie pop “à la Belle And Sebastian” e dove ci si può sdraiare placidamente sulla rena. La versione “ufficiale” di “In Cinerama” (quella che troviamo sulle piattaforme di streaming) è uscita poi nel 2022 su Omnivore Recordings, con un artwork aggiornato e due bonus track inedite (“Goodbye” e “Friends Peculiar”).
Infine è di quest’anno, e più precisamente di maggio, “April March Meets Staplin” (2023), dove la nostra si unisce agli Staplin, un duo formato da Norman Langolff e Arno Van Colen amante delle colonne sonore, e tornano in auge sentimenti trip-hop (“Ton rayon vert”, “Get Wild”) ma sempre nella più classica poetica yé-yé di Ariel March. Con un bellissimo singolo (che al sottoscritto ha ricordato cose di Jacco Gardner), “Les Fleurs Invisibles”.
April March è dunque un’artista che va conosciuta e che, a 58 anni, può dare ancora tanto: se contiamo il numero delle sue collaborazioni possiamo dire che non sta mai ferma, e questo è sinonimo di varietà. C’è – certo – sempre quella canzone, “Chick Habit”, che riemerge nella testa per essere fischiettata, ma non c’è da crucciarsi: quello solo è il cancello per accedere alla sua poetica, tutto il resto racconta di un’intera vita spesa suonando e divertendosi tra le cantine, i locali, i bassifondi, le colonne sonore, i disegni, il cinema, New York, Los Angeles, Parigi. E non dite che non è una vita avventurosa come un film di Tarantino.
(Paolo Bardelli)
NOTE:
(1) Nel 2017 Elidor Blake ha anche curato le illustrazioni per il libro per bambini “We’re Going to Be Friends” (Third Man Books). Il libro narra la storia di Suzy Lee, la protagonista della canzone degli White Stripes “We’re Going to be Friends”, e per l’occasione la Blake ha collaborato con Jack White.
(2) Blake ha recitato in un paio di cortometraggi (“Slap the Gondola!” nel 2009 e “Cet Air La” nel 2010) di una documentarista sperimentale francese Marie Losier.
(3) Quella di “Ren and Stimpy” non è la sola “incursione musicale” di April March nel mondo dei cartoni animati, essendo sua anche la sigla della serie “I Am Weasel” di Cartoon Network, uscita anche in Italia con il titolo “Io sono Donato Fidato”.
(4) Steve Hanft è più conosciuto come regista di video, in particolare di Beck: suoi infatti i video di “Loser”, “Pay No Mind – Snoozer”, “Where it’s At”, “Jack-ass” e “The Golden Age.”